0 9 minuti 5 anni

E’ opinione diffusa che la democrazia attuale non accontenti più gli animi degli onesti e che attraverso di essa cerchi di privilegiare gli interessi dei più avidi e prepotenti.  Nelle elezioni trionfa il denaro, il favore, la cooptazione e l’inganno. Ogni ideale svanisce.
I partiti non esistono più ma si sono trasformati in gruppi clientelari e strumenti di potere estranei ai bisogni dei cittadini.

Si tratta di un ritratto troppo impietoso o è la realtà a cui assistiamo quotidianamente?

E’ pur vero che oggi la politica manca di concretezza, ossia senza idee, senza leader preparati politicamente, senza capacità di suscitare speranze ma al contrario moltiplicando ogni giorno disaffezione e diffidenza.

Possiamo ancora affermare che la democrazia oggi sia in grado di esprimere, senza stravolgimenti e manipolazioni l’autentica volontà collettiva, sia cioè in grado di incarnare il principio supremo alla base dell’idea democratica di sovranità popolare?

Aldo Schiavone, studioso di diritto romano e docente presso l’Istituto Italiano di Scienze Umane (di cui è stato fondatore e direttore) rileva l’esistenza di una sfasatura tra i tempi della politica ed i tempi di formazione dell’opinione pubblica, fra il tempo delle domande e dei bisogni e quello delle risposte e delle decisioni.

Il ragionamento di Schiavone conduce verso l’obiettivo di una radicale riforma istituzionale che riporti “lo scettro nelle mani del popolo”. Il concetto di “crisi della rappresentanza” testimonia il crollo di quel modello che presuppone la possibilità di costituire la volontà comune di tutti i membri tramite una delega bianca conferita dagli associati ad un unico individuo. La democrazia positiva, caratterizzata dalla partecipazione dei cittadini al potere, cede il passo ad una democrazia negativa di difesa dei cittadini dal potere.

Purtroppo la continua degenerazione della politica ha trasformato il cittadino attivo in un mero consumatore che assiste passivamente a dibattiti politici a lui del tutto estranei, nel quale il suo unico ruolo è comprare, al momento del voto, l’offerta più allettante proposta dai partiti.

Questi si riducono ad essere mere agenzie elettorali all’interno delle quali il ruolo degli iscritti si limita a celebrare il leader di turno.

Il modello di Lees-Marshment spiega bene questo fenomeno inquadrandolo in un sistema più articolato e complesso di ciò che è diventata la personalizzazione della politica e di ciò che è il cosiddetto Marketing Politico.

Tra i tre modelli possibili spunta oramai come vincente il modello MOP, cioè il modello di una organizzazione orientata alla vendita, “Market Oriented Party”. Prima si studia il cliente e poi gli si costruisce un prodotto su misura!

Nell’evoluzione dei partiti politici i mezzi si sono confusi con i fini: oggi i partiti sono interessati soltanto a vincere le elezioni mentre la vittoria sui “rivali “dovrebbe essere un passaggio e non costituire l’ultimo proposito.

Tutto ciò ha provocato un effetto devastante sull’elettorato, la cosiddetta antipolitica. Il grado di fiducia dei cittadini verso le istituzioni nazionali ha raggiunto ormai livelli minimi, basti pensare che i partiti sono a fondo alla classifica Eurispes del 2013 con un gradimento percepito nel 2006 pari all’11%, sceso poi al 5,6 % nel 2012 e al 5% nel 2013 minimo storico.

C’è un sentimento di sfiducia dei cittadini nei confronti del mondo politico, manifestante il fenomeno dell’astensionismo alimentato dalla percezione comune che i politici vivono in un altro pianeta lontano e migliore rispetto al nostro creando così un solco tra rappresentati e rappresentanti.

Un altro fenomeno che spesso si accompagna alla crisi della democrazia, oltre alla crescente apatia, è ilpopulismo.

Il populismo è un fenomeno vecchio, legato ad un particolare concetto di rappresentanza. Leader populisti presumono di saper interpretare i bisogni ed i desideri del popolo affermando ciò che la gente spesso vorrebbe sentire giocando un doppio ruolo: da un lato la pretesa di essere “uno del popolo”, dall’altro la proposta di soluzioni semplici in questioni talvolta molto complesse.

Il populista per avvalorare le sue tesi spesso compare in televisione, sui social media, senza trascurare i “bagni di folla”, ma mantenendo immutata l’identificazione immediata del leader con le masse e l’offerta di ogni tipo di promessa purché di alto gradimento.

Si potrebbe quindi affermare che l’antipolitica è la perdita di fiducia nella capacità della politica di risolvere i problemi sociali mentre il populismo è il suo esatto contrario in quanto promette tutto a tutti. Il populismo inoltre è per lo più associato a posizioni di destra, di conservazione dell’ordine sociale, mentre l’antipolitica è fenomeno tanto di destra quanto di sinistra.

Se la partecipazione elettorale è calata e la disaffezione della politica è aumentata, sono però emerse altre forme di partecipazione che è forse difficile classificare come immediatamente politiche ma che ciononostante sono di aiuto alla democrazia. E’ questo l’ampio mondo della mobilitazione sociale in favore dei grandi problemi mondiali: diritti umani, ambiente, pace ma anche attorno ai piccoli problemi di tutti i giorni, quali l’offerta di posti negli asili, i trasporti per i pendolari, le strade dissestate.

I cittadini non solo devono stimolare e pungolare i propri rappresentanti e governanti all’azione, ma anche se possibile controllare, criticare e, se necessario, sanzionarne l’operato.  Come attuare tutto ciò?

Uno dei modi classici in cui i cittadini possono esercitare entrambe queste funzioni è attraverso la mobilitazione sociale, spesso a livello locale.

Il fenomeno dei movimenti è ormai una realtà consolidata nel panorama sociale dei giorni nostri. Trattasi per lo più di movimenti che si oppongono alla realizzazione di opere pubbliche (strade, ferrovie, aeroporti, inceneritori, ecc.…) per motivi per lo più ambientalisti. Sono note le mobilitazioni contro la realizzazione del treno ad alta velocità in Val di Susa (TAV), contro l’ampliamento dell’aeroporto militare americano Dal Molin a Vicenza e così via.

——————-
Considerazioni su M5S. (scritte antecedentemente l’alleanza con la LEGA).

All’inizio del 2018, in vista delle elezioni nazionali, lo statuto del Movimento 5 Stelle ha subito un’altra modifica dove la struttura di partito verticista si è ulteriormente consolidata, in cui gli eletti dovranno chiedere sempre allo staff della comunicazione il consenso alle interviste politiche e le liste subiscono il vaglio definitivo dei capipartito e la scelta dei candidati di spicco.

Ciò che quindi si presentava come un’utopia democratica, di democrazia diretta, e che Beppe Grillo in moltissime occasioni aveva sbandierato come principio fondamentale del Movimento 5 Stelle, si è trasformato in un classico partito fortemente autocratico, che ha fatto della rete uno strumento di propaganda esasperata e di persecuzione mediatica del dissenso.

L’involuzione del Movimento 5 Stelle preannuncia quindi una possibile distopia politica (termine coniato come contrario di utopia, soprattutto in riferimento alla rappresentazione di una società fittizia specie dal punto di vista democratico) qualora un giorno dovesse raggiungere il controllo e governo assoluto delle istituzioni nel 2018.

Se tale prospettiva dovesse verificarsi potremmo quindi considerare l’evoluzione del Movimento 5 Stelle come una “evoluzione populista negativa” che tramite l’utilizzo serrato della rete ha raggiunto il potere.

Alle elezioni nazionali del marzo del 2018 (momento della stesura finale di questa tesi), la legge elettorale vigente non ha consentito la completa vittoria del Movimento 5 Stelle che da solo ha ottenuto il notevole del 32% (CDX 37% CSX 23%) ma non ha raggiunto la quota del 40% che avrebbe consentito la maggioranza assoluta alle Camere.

Questa “evoluzione populista negativa” è stata quindi per ora interrotta e lascia presumere, vista la necessità di alleanze, due differenti alternative.

La prima è quella di una stabilizzazione di governo di M5S che, abbandonato l’aspetto anti-casta e populista, dovrà confrontarsi con un alleato non previsto e mediare con i contenuti ideologici di quest’ultimo, assuefandosi e inserendosi a pieno titolo nell’establishment classico dei partiti e rinnegando la propria integrità politica utilizzata in passato come vessillo, con l’aggiunta di tutte le difficoltà della fase di delivery di un partito MOP.

La seconda è quella di rimanere all’opposizione e di continuare, seppur con l’onta di non aver saputo cogliere l’occasione di governo, nella crescita evolutiva populista negativa, ben molto più ardua del passato.

Giampaolo Sablich
Progetto Per

Sorgente: Blog di Bignami Laura: Problemi e crisi della democrazia. Populismi e MOP.

Please follow and like us:
0
fb-share-icon0
Tweet 20
Pin Share20