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Accetterebbe di scontare l’ergastolo in Svizzera l’ex Br Alvaro Lojacono, uno dei condannati per l’agguato di via Fani, che, oramai cittadino svizzero, dopo quasi vent’anni di silenzio e il recente arresto dell’ex Pac Cesare Battisti, fa la clamorosa rivelazione in un’intervista a Ticinoonline/20 minuti. Se l’Italia presentasse una richiesta di exequatur corretta e completa (cioè per tutte le condanne italiane cumulate), con la garanzia di non procedere più per gli stessi fatti, spiega Lojacono, “io l’accetterei senza obiezioni, almeno metteremmo la parola fine a questa vicenda”. In pratica, l’ex terrorista accetterebbe di scontare nel paese elvetico l’ergastolo inflittogli da un giudice svizzero, secondo le sentenze italiane. Lojacono, che per la strage di via Fani deve scontare appunto un ergastolo, all’epoca dell’agguato aveva 22 anni. Ora ha 63 anni e, grazie al passaporto e al cognome della madre, vive in Svizzera da uomo libero, sotto il nome Alvaro Baragiola. Lavora, ha una famiglia e la sua fedina è pulita dopo aver scontato una pena di 17 anni inflittagli per fatti di sangue (inclusi nella sentenza Moro1-bis). “L’Italia non riconosce, né può riconoscere, la carcerazione sofferta in Svizzera per gli stessi fatti e reati – spiega Lojacono nell’intervista a Ticino online – perché non solo non ha chiesto alla Svizzera l’estradizione, ma neppure ha chiesto alla Confederazione di processarmi in Svizzera”.

Lojacono spiega così il motivo per cui le autorità italiane (i diversi governi che si sono succeduti) hanno scelto di non chiedere l’estradizione e poi, in caso di rifiuto, il processo in via sostitutiva: “Forse l’Italia non ha voluto che uno stato straniero mettesse il naso nel processo Moro“. Si tratta di un’ipotesi, spiega nell’intervista con la quale rompe un silenzio quasi ventennale, ma “sarebbe comprensibile”. In ogni caso, “qualunque sia la ragione non sono le autorità svizzere, né una mia presunta opposizione, ad aver creato l’impasse attuale”, aggiunge.

“C’è stata una ‘linea della fermezza’ lanciata dal Pci al tempo del sequestro Moro, continuata poi con le leggi d’emergenza e con la politica della vendetta, che in questi giorni – sottolinea – ha raggiunto livelli impensabili con l’esibizione del detenuto-trofeo. Una catena che neppure la commissione (parlamentare sul caso Moro, ndr) ha voluto interrompere, lasciando la verità nella palude del sospetto”.

“L’Italia – ribadisce poi – non ha mai chiesto la mia estradizione alla Svizzera (il fatto è accertato dalla sentenza del Tribunale federale del 9 aprile 1991), e una ‘consegna’ come la richiede la Lega (la Lega dei Ticinesi, ndr) – afferma – equivarrebbe a una deportazione alla boliviana, che la Confederazione non prevede”.

Alla domanda su cosa contesta della lettura odierna dei fatti degli anni di piombo, l’ex Br risponde: “Non vedo perché parlare con chi mi considera ancora oggi terrorista e nemico pubblico. Che non sono”. “Ho avuto un contatto con l’ultima commissione parlamentare italiana sul caso Moro – spiega -, che ha purtroppo mancato l’occasione, scegliendo di dedicarsi alla ricerca di complotti”. Parlare di quei fatti però, assicura, “non è un tabù”, ma, precisa, “ne parlo con storici e ricercatori con cui si può discutere, solo lontani dalla propaganda e dalle fake-news si può ritrovare un senso storico”.

Ogni volta che l’agguato di via Fani “è rilanciato dai media associandolo al mio nome – dice Lojacono – ricevo insulti e minacce. È una pena supplementare, non ci posso fare niente. Ci sono memorie collettive diverse ed in conflitto tra loro, e nessuna sarà mai condivisa da tutti. Entriamo nel cinquantenario del lungo ’68, dopo mezzo secolo si dovrebbe poter trattare le cose storicamente, ma – conclude – non è così, sembra che i fatti siano avvenuti ieri“.

LA RABBIA DEI PARENTI DELLE VITTIME – Rabbia dei parenti delle vittime per le dichiarazioni di Lojacono. “Ho letto l’Adnkronos e sono rimasto senza parole. Lojacono venisse in Italia, se vuole scontare davvero la sua pena. E se no, se ne resti in Svizzera come fa da quarant’anni e ci lasci in pace”, dice all’Adnkronos Sandro Leonardi, figlio di Oreste, il capo della scorta di Aldo Moro trucidato in via Fani il 16 marzo 1978 con Francesco Zizzi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Domenico Ricci dal commando brigatista di cui faceva parte anche Lojacono, poi riparato in Svizzera e diventato cittadino elvetico.

“A Lojacono e a tanti altri, Casimirri in testa, dico che è finita la pacchia”, aggiunge Leonardi, secondo cui l’arresto di Cesare Battisti in Bolivia dimostra che per catturare i terroristi latitanti “basta la volontà”. “E sono 40 anni che lo Stato non ha alcuna volontà. Ce ne fosse uno che sta in galera, nonostante abbiano cinque, sei ergastoli per uno”, dice con la voce piena di dolore. “Forse Lojacono ha ragione, lo Stato ha paura – ragiona Leonardi – perché questo è il problema, tutta questa gente sa verità indicibili… Ma io dico dopo 40 anni che cosa c’è da aver paura?”.

Io sono 40 anni che sto scontando il mio ergastolo – afferma con rabbia il figlio del capo scorta di Moro – A me hanno tolto un padre che avevo 20 anni. Con che diritto? Mio padre era come il padre di questa gente, era nei carabinieri per guadagnarsi la pagnotta, mica per fare l’eroe…”. “Che vorrei dopo 40 anni? Vorrei che finalmente le parole fossero trasformate in fatti – prosegue Leonardi – Di politici in tv con la divisa ne ho le scatole piene… Se davvero sono in grado, tanto di cappello, ma agiscano, la pubblicità non mi interessa. Questi assassini ora li voglio vedere marcire in galera”.

IL COMMENTO DI FIORONI – Lojacono parla di complottismo sul caso Moro? “E’ ora di farla finita”, dice all’AdnKronos, Beppe Fioroni, presidente della Commissione parlamentare sul caso Moro. “Il parlamento – ricorda Fioroni – ha approvato all’unanimità una relazione su fatti e prove certe, senza nessun complotto o interpretazione stravagante”. “E’ sempre più chiaro – dice l’esponente del Pd – che la verità su Moro sia stata circoscritta in un campo di verità dicibili, attribuendo a pochi le responsabilità di tanti”.

Con Lojacono “noi eravamo disponibili – spiega – anche a una rogatoria, ad andare noi in Svizzera, queste verità poteva dirle da lì. Non c’era bisogno di farsi riarrestare per parlare”. “Con lui abbiamo avuto uno scambio epistolare”, ricorda Fioroni: “Ci ha spiegato che non intendeva rispondere alle domande perché, come risulta dagli atti, aveva scontato la sua pena con la giustizia elvetica”.

Sorgente: Ex Br Lojacono: “Accetterei di scontare ergastolo in Svizzera”


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