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Clamorosa notizia rivelata dal New York Times che apre il giornale con i dettagli dell’inchiesta condotta dall’Fbi.
-Il Presidente potrebbe “aver lavorato segretamente a favore della Russia” (“was secretely working on behalf of Russia”), cosa che non è proprio spionaggio, ma poco ci manca.

Trump ‘agente segreto’ per la Russia?

Il Russia-gate si va colorando di tinte che sembrano uscite, sempre di più, ogni giorno che passa, da un film di James Bond. Ian Fleming, ovviamente, non c’entra. E manco la “Spectre”. C’entra invece, eccome, l’Fbi, che, secondo quanto spara in prima pagina il New York Times, ha deciso da lunga pezza di mettere sotto inchiesta Donald Trump, addirittura per presunto spionaggio a favore del Cremlino. Fantapolitica? Beh, sinceramente qualche forzatura traspare nell’indagine, anche se ormai sembra tutto legato a una vera e propria lotta di potere all’arma bianca e senza esclusione di colpi (bassi) all’interno delle segrete stanze Usa.

In verità, il prestigioso quotidiano americano, nel titolo parla del fatto che il Presidente potrebbe “aver lavorato segretamente a favore della Russia” (“was secretely working on behalf of Russia”), cosa che non è proprio spionaggio, ma poco ci manca. Anzi, sostanzialmente, è forse peggio. L’inchiesta sarebbe partita dopo il siluramento, da parte di Trump, dell’ex direttore del Federal Bureau of Investigation, James B. Comey, che aveva deciso di passare al setaccio tutti i contatti avuti in campagna elettorale col Cremlino dall’attuale Presidente. Proprio il contrattacco di Trump e la sua ritorsione nei confronti di Comey potrebbero configurarsi come “ostruzione alla giustizia”, reato che non è proprio una bazzecola.

Insomma, per l’ex Palazzinaro insediatosi rumorosamente alla Casa Bianca, piove sul bagnato. L’Fbi è l’Agenzia incaricata del controspionaggio interno (all’estero agisce la Cia) e la “saldatura” dei fascicoli a carico di Trump, tra gli aspetti penali e quelli della sicurezza nazionale, ovviamente complica maledettamente le cose per il Presidente. Anche se uno dei suoi prestigiosi avvocati, l’ex sindaco-sceriffo di New York Rudolph Giuliani, minimizza: “Indagano su Trump da un anno e mezzo e il fatto che ancora non abbiano trovato niente significa che non c’è proprio niente”, ha dichiarato l’autorevole esponente repubblicano.

Certo, est modus in rebus. C’è modo e modo di fare le cose. Secondo alcuni analisti qualche “forzatura” da parte dell’Fbi è palese. In quella che appare come una sorta di “guerra nucleare” dentro le istituzioni americane, l’inchiesta del Federal Bureau of Investigation è “borderline”. Atto dovuto per tutelare la sicurezza nazionale o ritorsione per il licenziamento di Comey, vissuto come una pesante “invasione di campo” fatta dalla Casa Bianca? Il dibattito s’infiamma e contribuisce a dividere in maniera sempre più evidente un Paese già messo in ginocchio dallo “shutdown” federale di bilancio, a proposito della “Grande muraglia” anti-migranti ai confini col Messico.

E mentre gli Stati Uniti vanno alla deriva e la Casa Bianca sembra diventata il castello di Macbeth, i giornali fanno la conta di tutti gli adviser e i tirapiedi di Trump che entrano ed escono dall’inchiesta come dalle porte girevoli di un hotel. Sono un battaglione. Nell’ordine: Michael D. Cohen (già condannato a 3 anni di galera), Richard Pinedo (sei mesi), George Papadopoulos (“solo” 14 giorni), Paul Manafort (accusato di frode fiscale), Alex Van der Zwaan (condannato a 30 giorni), Rick Gates (si è già dichiarato colpevole), Michael T. Flynn (ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale, reo confesso), Bijan Kian (incriminato), Sam Patten (reo confesso), Ekim Alptekin (incriminato).

Nel mazzo vanno aggiunti due dozzine di agenti segreti russi, accusati di un cofano di reati. Come se la gragnuola di ganci e uppercut non bastasse a “suonare” Trump, un altro “diretto” gli arriva, al bersaglio grosso, addirittura da Israele, dove Netanyahu, che non lo può digerire, gli ha scagliato contro i servizi segreti. A completare, l’opera, infatti, è giunto il parere (non richiesto) dell’ex capo del Mossad, Tamir Pardo, il quale ha dichiarato che sì, la Russia ha capito che Trump era il miglior candidato possibile per favorire Mosca e che, di conseguenza, ha deciso di appoggiarlo. Corto e netto. Quasi un epitaffio.

Sorgente: Americanate: il pur pessimo Trump ‘agente segreto’ per la Russia? –

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