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È vero, avessero voluto combattere una battaglia di civiltà sulle carceri, avrebbero trovato in Italia materiale infinito: dai pestaggi a Foggia a Reggio Emilia a Santa Maria Capua Vetere. Il Beccaria. I quindici, quindici, quindici, morti nelle rivolte del covid. La foto dei genitori di Cospito, il 41 a Cospito. Il 41bis guantanamero per cui un anno di espiazione vale dieci della pena normale e dieci anni equivalgono a un secolo di afflizione. I guinzagli ancora in voga. I suicidi. Il sovraffollamento.
Per combattere una battaglia di civiltà sulle carceri il luogo più simbolico ed emblematico, in Europa, è l’Italia, senza farsi migliaia di chilometri sino in Ungheria. Ma in Italia la sinistra una battaglia aperta non ha il coraggio di farla, sul carcere. La destra si batte per le garanzie solo se riguardano un potente, un abbiente, un amico. Per gli altri si butta la chiave.

La Salis, prescindendo dalla Salis, diventa una battaglia di civiltà. Lei è in catene. È la parte fragile della storia. Una storia in cui l’hanno infilata senza pensare troppo alle conseguenze. Brutte conseguenze che patirà lei soltanto. Servirebbe un plebiscito sul suo nome perché la battaglia abbia un senso. Serve una valanga di voti per tenerla al riparo. Voti che non stanno nel grembo ipocrita delle destre e delle sinistre istituzionali. Voti che si sono silenziati nel non voto. Potrebbero dare un segno. Comunque potrebbero salvare una prigioniera in catene, imporre il rispetto, l’umanità, verso chiunque, prescindendo dai nomi, dalle idee, dalle responsabilità. Un impegno troppo grande per i garantisti a chiacchiere di destra e di sinistra.

Sorgente: Comunque Salis (di Gioacchino Criaco) – Iacchite.blog