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Europa sempre più militarizzata, in ordine sparso

L’Europa ha già aumentato del 50% la sua capacità produttiva militare e si appresta a grandiosi piani di investimento sia comunitari sia dei singoli Stati. Anche se il settore realizza appena lo 0,7 del Pil e limitati effetti sull’occupazione. Il tutto dominato dalla finanza e dall’industria a stelle e strisce.

Il contesto di militarizzazione della UE

Analizzare oggi l’industria militare europea, anche al fine di coglierne le tendenze e le prospettive, non può prescindere dai “venti di guerra” che soffiano forti dal Dnepr al mare del Nord e dall’Atlantico agli Urali. I vertici europei divisi su tutto, tranne che sulla retorica bellicista, hanno velocemente sepolto il sogno di pace dei padri fondatori di una Europa unita, facendo propria la locuzione latina “Si vis pacem, para bellum”… “Se vuoi la pace, prepara la guerra”.

Una prospettiva di nuovi e più devastanti conflitti armati, con una corsa costante al riarmo, dove tutti si preparano simbolicamente e materialmente alla guerra. Uno “scenario estremamente vantaggioso” per l’industria militare europea, quello che le porta più ordinativi, più profitti… e la fa volare in borsa.

Una “congiunzione astrale” tra crescita costante della spesa militare dei singoli Stati, militarizzazione finanziata dal bilancio comunitario della UE e investimenti privati dei mercati finanziari, che scommettono quasi mille miliardi di euro nel riarmo e nelle guerre.

In questo contesto la UE si sta trasformando in una vacca da mungere per l’industria militare, senza alcun dibattito pubblico, senza un adeguato controllo democratico e con la complicità nel processo decisionale della lobby dei fabbricanti di armi.

Nonostante l’industria militare europea, come ci ricorda Josep Borrell, abbia aumentato la sua capacità produttiva del 50 per cento, si sostiene che non sia stata in grado di rispondere alla domanda in rapido aumento. Per queste ragioni i vertici delle istituzioni europee hanno deciso sia un maggiore coordinamento con l’ipotesi di un commissario a Bruxelles all’Industria della difesa; sia incentivi alla cooperazione sul fronte degli appalti con un nuovo fondo europeo di 1,5 miliardi di euro.

Gli obiettivi economici da raggiungere entro il 2030 sono i seguenti:

  • appalti congiunti per almeno il 40% degli armamenti (ora siamo al 18%);
  • valore del commercio della difesa dentro l’UE di almeno il 35% del valore complessivo del mercato;
  • 50% degli acquisti in campo militare made in UE;
  • raddoppio della capacità produttiva aggregata dell’’industria militare europea, con il sostegno finanziario della Banca Europea degli Investimenti.

La stessa Commissione Europea ha dovuto ammettere che, dall’inizio della guerra in Ucraina al giugno 2023, il valore aggregato di spesa nella UE per armamenti, munizionamenti ed equipaggiamenti militari sia stata notevole: circa 100 miliardi di euro. Ma da un punto di vista industriale la verità è che il 60% degli acquisti sono stati made in USA e il restante 40% è diviso in parti uguali tra made in UE e made in extra-UE countries.

Fintanto che le politiche di Difesa continueranno ad essere competenza esclusiva degli Stati, coordinate in ambito NATO, le scelte sui sistemi d’arma di cui dotarsi dipenderanno dalle valutazioni di convenienza (politica, economica e tecnologica) che i singoli governi faranno insieme ai vertici delle loro Forze Armate e ai manager delle loro industrie. E quasi mai terranno conto di logiche di efficienza e di ricadute industriali in un quadro europeo.

Per ridurre, quindi, la duplicazione e frammentazione industriale delle produzioni di armamenti nei paesi UE, la cooperazione intereuropea e gli appalti pubblici comuni non bastano. Ci vorrebbero scelte drastiche, di chiusura e riconversione nel civile di attività o fabbriche non necessarie, e di rinuncia da parte dei singoli paesi europei alle loro industrie nazionali di armamenti per una maggiore efficienza e integrazione. Ma senza una politica estera e una difesa comune europea, è impossibile con misure esclusivamente economiche che ciò accada. Il risultato attuale, è che qualsiasi politica di finanziamento UE della Difesa (compresa l’emissione di eurobond) sarà solo un ulteriore livello di spesa che si somma ai budget statali della Difesa a esclusivo vantaggio di azionisti e manager dell’industria militare.

Il sistema industriale militare europeo 

Il peso dell’industria militare europea nel mondo è rilevante per numero di aziende, per fatturato e per export. Meno da un punto di vista tecnologico, tranne in alcuni segmenti di produzione dove può vantare una posizione di leader. Nella classifica SIPRI delle Top 100 aziende al mondo per fatturato militare nel 2022, troviamo 30 gruppi europei (compresi 4 turchi)1 e 42 gruppi americani. Dei quasi 600 miliardi di dollari dei ricavi totali nel militare delle top 100, quelli dei gruppi europei (compresi quelli turchi) raggiungono solo il 21% contro il 51% dei 42 gruppi americani e meno del 24% realizzato dai 22 gruppi di Asia e Oceania.

L’ultimo rapporto annuale della ADS – AeroSpace and Defence Industries Association of Europe2, pubblicato nel dicembre 2023, offre una panoramica aggiornata della dimensione dell’industria aerospaziale e della difesa in Europa3. Anche se rimangono fuori dall’indagine alcune imprese non associate, di piccole e medie dimensioni, i dati forniti da ASD hanno il vantaggio dell’attendibilità e della continuità temporale, consentendo analisi e valutazioni di natura strutturale sulle tendenze del settore.

Il fatturato complessivo dell’industria aerospaziale e della difesa europea nel 2022 ha raggiunto la cifra record di 260,5 miliardi di euro, con un aumento su base annua del 9,8% rispetto al 2021. La crescita è stata quasi uguale in entrambi gli ambiti, civile e militare, in cui opera il settore. I ricavi, quindi, sono tornati sopra il livello raggiunto nel 2019, prima della pandemia. Va, però, considerato che nel 2022 l’inflazione, nell’insieme dei paesi UE, è stata del 9%, quindi le variazioni in termini reali rispetto al 2021 sono state molto limitate.

La Figura 1 riporta la variazione del fatturato tra il 2021 e il 2022 per ciascuna delle componenti dell’industria aerospaziale e della difesa. L’aeronautica civile rappresenta la parte principale del settore, seguita dall’aeronautica militare e dai sistemi terrestri militari. Per tutti i comparti l’aumento nel 2022 è andato poco oltre il tasso d’inflazione.

 

La dinamica dell’occupazione 

L’occupazione totale nel 2022 è di 925 mila unità. Una crescita di poco superiore al 5,2% rispetto agli 879 mila del 2021 4, pari a 46 mila posti di lavoro aggiuntivi. L’aumento ha interessato più l’aeronautica civile (+6,0%) che quella militare (+3,6%) e il settore dello spazio (+8,2%), nonostante la contrazione del fatturato. Anche le attività della difesa in campo navale e terrestre hanno realizzato un lieve aumento (+4,9%) del numero di occupati.

La Figura 2 mostra l’evoluzione dell’occupazione in campo civile e militare nell’ultimo decennio, con la caduta di quella civile negli anni della pandemia, che ha colpito soprattutto il settore aeronautico, e la crescita, a partire dal 2017, dell’occupazione in campo militare.

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Sorgente: Europa sempre più militarizzata, in ordine sparso – Sbilanciamoci – L’economia com’è e come può essere. Per un’Italia capace di futuro


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