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29 April 2024
0 7 minuti 4 settimane

Israele (Internazionale) L’indagine di Statewatch. I trattati Ue vietano di dare denaro a progetti di armamento. Tutti disattesi da anni. ResponDrone, un milione e 300.000 euro alla Iai di Tel Aviv. 100.000 alla Difesa israeliana.

 

I droni che uccidono e distruggono Gaza parlano un po’ anche la lingua di Bruxelles. Quei droni israeliani che hanno partecipato all’uccisione di 32mila palestinesi in sei mesi e alla distruzione di un territorio sono stati progettati, costruiti, usati anche grazie all’Europa. Come? Con ingenti finanziamenti destinati alla ricerca che invece finiscono direttamente all’industria degli armamenti di Tel Aviv. Che finiscono a chi fabbrica i droni utilizzati dall’esercito israeliano.

LA DENUNCIA, beninteso, non è nuova: da anni ong e organizzazioni umanitarie raccontano e svelano come la tecnologia made in Europe sia stata necessaria a Israele nell’occupazione del territorio palestinese, a Gaza e in Cisgiordania.
Ora però quella denuncia si arricchisce di nuovi inediti particolari, ora quella denuncia si “lega” direttamente al genocidio in corso, quello cominciato dopo la strage di Hamas del 7 ottobre. Il tutto si deve a un’accuratissima indagine che ha coinvolto decine di studiosi, realizzata da Statewatch, una delle più autorevoli organizzazioni per i diritti umani e digitali, in collaborazione con l’Informationsstelle Militarisierung (Imi), un’associazione tedesca che monitora le attività militari.

E dire invece che il vecchio continente non permetterebbe il finanziamento di ricerche con scopi militari. Lo escludono tutti – ma proprio tutti – i trattati, che vietano di fornire denaro a progetti di armamento. Ma sono anni che quella scelta è stata disattesa: se vogliamo fare i pignoli è da vent’anni, da quando il «programma quadro per la ricerca» europea del 2005 ha inserito fra i capitoli dei progetti ammessi anche quelli destinati alla «sicurezza», «alla sicurezza nazionale». Esattamente come voleva la lobby dell’industria delle armi.

UFFICIALMENTE non si poteva fare, dunque, ma l’hanno fatto. Esempi? Già dieci anni fa l’orribile progetto Oparus, pensato per fornire strumenti tecnologici alle polizie europee di frontiera, vedeva il coinvolgimento dell’Iai, Israel Aerospace Industries. E così anche i progetti Idetect4all e Flysec, che hanno portato centinaia di migliaia, quando non milioni di euro nelle casse di imprese d’armi israeliane. Come la Motorola Solution Israel, il gruppo che ancora oggi fornisce la tecnologia per i posti di blocco in Cisgiordania.
Si potrebbe continuare a lungo e si arriva così al progetto ResponDrone, finanziato con otto milioni di euro. Anche in questo caso, quando tutto è cominciato – pochi anni fa – si è salvata la forma: la ricerca doveva servire a ideare nuovi strumenti tecnologicamente avanzatissimi per intervenire «in caso di disastri». Per le emergenze, insomma.

RESPONDRONE, coordinato dal centro aerospaziale tedesco Dlr, ha fatto avere un milione e 400mila euro al gruppo spagnolo Alpha, che produce droni e un altro milione e trecentomila euro sempre all’Iai israeliana. Qualche euro di meno è arrivato anche ad un’altra società di Tel Aviv, la Agorà, e centomila euro direttamente al ministero della Difesa. Cifra irrisoria, «quasi simbolica», scrive il rapporto di Statewatch, anche se nessuno si è preso la briga di giustificarla.

Comunque, già dall’inizio era difficile spacciare il progetto per «usi civili», tanto più che nelle sperimentazioni sul campo (ne hanno fatte, dall’Armenia alla Grecia, passando per la Lettonia) sono stati testati strumenti per localizzare e tracciare le persone dall’alto e altre non meglio specificate «tecniche di monitoraggio per vaste aree, legate alla sicurezza nazionale».
Dopo i test, l’Israel Aerospace Industries e la spagnola Alpha hanno messo sul mercato un nuovo prodotto, Multiflyer. Nuovi droni che dispongono di avanzatissimi sensori prodotti dalla Sightec. Un’altra azienda israeliana che ha avuto fra l’aprile del 2022 e il dicembre del ’23, due milioni e mezzo di euro dalla Ue.

Anche in questo caso, la giustificazione ai finanziamenti è la solita – usi civili -, stavolta però si scade nel grottesco. I soldi europei sono arrivati alla Sightec perché avrebbe dovuto studiare droni per le consegne a domicilio dei pacchi dell’e-commerce, per ridurre nientemeno che «l’emissione di gas serra dovuta ai furgoni a motore». La società ha elaborato invece sistemi che utilizzano l’intelligenza artificiale per rendere i droni completamente autonomi: decidono da soli cosa fare. Possono portare a termine un’operazione anche senza segnale Gps, possono arrivare a destinazione nonostante i tentativi di disturbo. Difficile immaginare un loro uso “civile”, insomma, a meno che non si pensi che Amazon voglia far precipitare il drone di una compagnia rivale.

E POI C’È il progetto Xtend. Drammaticamente utilizzato solo e soltanto per lo sterminio di Gaza («al 100% per la guerra», dice Statewatch). Qui, trattandosi di un’azienda con chiari scopi militari che non potevano essere oscurati in alcun modo, il finanziamento europeo è stato più subdolo. Meno diretto. Gli euro sono arrivati a un progetto della Xtend che prevedeva solo «la ricerca di partner strategici e la commercializzazione» di eventuali nuovi prodotti. Non definiti. Così, grazie anche a quel finanziamento europeo, il gruppo a maggio di tre anni fa ha firmato un contratto col Dipartimento della Difesa statunitense che a sua volta ha elaborato un accordo con la Difesa di Tel Aviv. E ora i droni senza pilota della Xtend stanno facendo stragi a Gaza.

MILLE ESEMPI che raccontano di un unico atteggiamento: l’ipocrisia europea. «Sì – dice al manifesto Chris Jones, direttore di Statewatch – Tutti immaginano che a dettare le regole nel campo della ricerca in Europa dovrebbero essere il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Quelli che tutti chiamiamo valori europei. La pratica e questo report sono lì a indicare che oggi quelle sono soltanto parole vuote».

Sorgente: Armi e droni made in Europe complici della devastazione della Striscia | il manifesto

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