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La Relazione annuale sulla politica dell’informazione per la sicurezza, disponibile online, analizza i nemici individuati dai servizi italiani. Tra questi, emerge il mondo del lavoro, considerato terreno potenziale di scontro di classe.

Federico Giusti

La Relazione annuale sulla politica della informazione per la sicurezza, redatta dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e scaricabile anche in rete, rappresenta una lettura utile a comprendere i cosiddetti nemici individuati e analizzati dai dominanti.

110 pagine ricche di riferimenti agli scenari internazionali, economici e finanziari e alla analisi dei fenomeni nazionali pericolosi per l’ordine pubblico.

Ci soffermiamo solo un passaggio riguardante il mondo del lavoro:

Si è confermata la strumentale attenzione nei confronti del mondo del lavoro, con riferimento tanto a controversie salariali e occupazionali d’importanti realtà produttive nazionali, quanto ai variegati settori del precariato lavorativo, spesso a prevalente composizione immigrata, ritenuti, dalla propaganda d’area, i nuovi terreni dello “scontro di classe”.

Detto in altri termini settori antagonisti e conflittuali, nostalgici della lotta armata riserverebbero grande attenzione al mondo del lavoro provando a inserirsi dentro vertenze locali e nazionali per generare una escalation di violenza contro i poteri statali.

Non è la prima volta che ci imbattiamo in analisi del genere, il mondo del lavoro è attraversato da profonde fratture e contraddizioni derivanti anche dalla crisi economica e sociale, dalle crescenti disuguaglianze che alimentano la ricchezza e i profitti di pochi a discapito del recupero del potere di acquisto salariale.

Senza ripercorrere la storia degli ultimi 50 anni urge trarre alcune considerazioni da questo documento e proveremo a farlo in estrema sintesi:

1. Gli ultimi 40 anni neoliberisti hanno visto la sostanziale perdita del potere di acquisto dei salari e la precarizzazione del mondo del lavoro. I salari italiani sono diminuiti al contrario di quelli europei, e non parliamo solo dei paesi UE a capitalismo avanzato. In ambito sindacale la concertazione è stata funzionale a costruire quel sistema di relazioni tra sindacato e parti datoriali che ha sancito l’arretramento delle condizioni di vita, di lavoro e anche dei livelli contrattuali e retributivi. Allo stesso tempo la pace sociale ha determinato il sostanziale arretramento del sindacato, la perdita del potere contrattuale mentre crescenti ricchezze venivano indirizzate ai profitti e ai dividendi tra azionisti.

2. Il timore diffuso che i sindacati concertativi e rappresentativi non riescano a rappresentare la forza lavoro è palese come anche la consapevolezza che nella società e nei luoghi della produzione si stiano organizzando percorsi caratterizzati da forte radicalità, da proposte incompatibili con le politiche di austerità e con le forme tradizionali che caratterizzano da decenni le relazioni tra datori e subordinati. La paura che la lotta di classe torni a caratterizzare le vertenze nazionali e locali, che non ci si accontenti delle briciole per avanzare invece rivendicazioni materiali degne di nota e capaci di portare sensibili miglioramenti alle condizioni lavorative e di vita dei subalterni è una delle preoccupazioni palesate nella relazione ministeriale.

3. Le dinamiche proprie della crisi di accumulazione capitalistica alimentano contraddizioni crescenti. A tal riguardo citiamo un passaggio eloquente. Il dibattito economico ha così spostato il proprio focus dalla ricerca della massimizzazione del profitto attraverso la minimizzazione dei costi di produzione alla ricerca di una maggiore resilienza delle catene del valore. Non a caso, malgrado i principali indicatori statistici non forniscano, ad oggi, segnali inequivocabili di un raffreddamento del processo di integrazione economica mondiale in termini di commercio e investimenti diretti esteri, emergono al contempo indicatori di un possibile processo di riorganizzazione dei sistemi produttivi globali. Se si alimentano i profitti a discapito dei salari o delle pensioni, se gli utili vengono indirizzati a speculazioni finanziarie e non ad ampliare il welfare, è logico pensare che una opposizione a questo stato di cose possa alimentare il conflitto sociale e sindacale. Da qui nasce la paura del conflitto di classe demonizzato come espressione di violente contrapposizioni allo status quo.

4. Come leggere invece il seguente passaggio: Un generale impoverimento dei Paesi emergenti geograficamente più prossimi all’Italia, in mancanza di dinamiche di friendshoring/reshoring a sostegno del loro tessuto produttivo, potrebbe alimentare l’instabilità politica e sociale e, dunque, anche il fenomeno migratorio? Per noi non ci sono dubbi di sorta: descrivere la forza lavoro immigrata come la più incline a subire il fascino del conflitto di classe significa ammettere il crescente impoverimento dei paesi del Sud del mondo, demonizzare i fenomeni migratori e al contempo tuonare contro la instabilità sociale e politica derivante dai processi economici determinati dagli interessi dei paesi a capitalismo avanzato e dei blocchi economici dei dominanti. E’ proprio la saldatura tra forza lavoro migrante ed autoctona, tra giovani precari e salariati impoveriti a turbare il sonno dei dominanti, da qui la necessità di costruire un immaginario di paura alimentando spinte alla insurrezione contro i poteri statali, minacce all’ordine costituito da demonizzare con qualche relazione dei Servizi e degli apparati antiterrorismo.

Sorgente: worldpoliticsblog.com

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