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Il cancelliere Scholz rompe il silenzio dei leader europei e si schiera contro l’estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti. Ma resta la slealtà di chi ha abbandonato iil fondatore di Wikileaks consegnandolo all’ossessiva rabbia degli Usa

Finalmente s’ode una parola per la tutela di Julian Assange dall’Europa che si è fatta unione per proporsi come culla del diritto e della libertà al resto del mondo. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ieri ha detto che «sarebbe bene che i tribunali britannici gli garantissero la necessaria protezione, perché deve effettivamente aspettarsi persecuzioni negli Stati Uniti, in considerazione del fatto che ha tradito segreti di Stato americani».

Non è un caso che la domanda gli sia stata posta da uno studente durante un incontro in un centro formativo professionale a Sindelfingen. I grandi media, soprattutto quelli che si definiscono più progressisti, perdono la lingua ogni volta che si pronuncia il nome dell’attivista statunitense che rischierebbe 175 anni di carcere se estradato negli Usa.

Tra i vari sconcerti di questa storia magnificamente silenziata c’è anche la cupidigia con cui gli stessi giornali che oggi si scordano di parlarne quando Assange era fonte autorevole per riempire le prime pagine dei giornali. È qualcosa che ha a che vedere con il giornalismo e con la lealtà. Giornalisticamente è obbligo per ogni testata custodire e proteggere la propria fonte, ancora di più se ha permesso di svelare vergognosi crimini di guerra compiuti in nome dell’esportazione di democrazia. Dal lato della lealtà (meglio, della slealtà) c’è la tranquillità con cui si è buttato nel sacco dell’umido un personaggio che anche dalle nostre parti qualche anno fa era un eroe. Tra il prima e il dopo è cambiata semplicemente l’ossessiva rabbia degli Usa.

di Giulio Cavalli

 

Sorgente: Assange nel sacco dell’umido | Left

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