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Nessun parere dal capo dello Stato. Il costituzionalista Clementi: “Così si indeboliscono tutti: Quirinale, Parlamento, governo”

Cosa ne pensa, Sergio Mattarella, di questo premierato che derubrica la figura del Capo dello Stato a notaio della Repubblica? Se lo chiedono in tanti in queste ore. Ma il presidente non lascia trasparire alcun umore, né lo farà, si tiene fuori dal dibattito parlamentare, e naturalmente, dopo l’approvazione in Consiglio dei ministri, autorizzerà la presentazione del disegno di legge alle Camere, secondo il comma quattro dell’articolo 87 della Costituzione. Lì, la riforma Casellati-Meloni, farà il suo iter. “Ci vorranno almeno dodici-diciotto mesi, nel caso, per farla approvare”, azzarda una previsione il costituzionalista Francesco Clementi. Nel frattempo si adotterà la linea del silenzio, come del resto avvenne già ai tempi della riforma Renzi, all’inizio del suo primo settennato.

L’ha visto il testo? La bozza gli è stata consegnata, come atto di cortesia istituzionale? Sì, affermano fonti del governo. Insomma, Mattarella non interferirà, e nemmeno vuole offrire anche solo l’impressione di una possibile interferenza. Per alcuni osservatori la riforma è più blanda, rispetto alle previsioni, e decisamente più soft rispetto agli iniziali propositi che prevedevano addirittura l’elezione diretta del Capo dello Stato. Ma gli esperti sono concordi nell’affermare che questo disegno di legge cambia la natura della presidenza della Repubblica come l’abbiamo conosciuta fin qui. Notaio, non più arbitro. Esecutore di scelte altrui, non più l’autorità che può sbrogliare la matassa delle crisi parlamentari. “Non svolgerà più alcun ruolo di mediazione”, fa notare Stefano Ceccanti, docente di diritto pubblico comparato alla Sapienza. Gli viene sottratta la possibilità di verificare altre maggioranze possibili. Nell’ultima legislatura ne furono possibili tre diverse: si passò dal gialloverde al giallorosso, sempre con lo stesso premier, Giuseppe Conte, e poi arrivò Draghi, il tecnico. Ed è proprio questo che la destra vuole evitare, preferendo cristallizzare un’unica possibilità, e lo fa legando le mani al Capo dello Stato. “Ma così si indeboliscono tutti: Quirinale, Parlamento, governo”, fa notare Clementi, docente di diritto pubblico comparato alla Sapienza. “La maggioranza può minacciare di togliere la fiducia alla premier, e viceversa, prevarranno i ricatti. È un sistema rigido, che ossifica il sistema. Al presidente della Repubblica verrà tolto il potere di scioglimento delle Camere. Ne esce fortemente indebolito”.

Anche il potere di nomina viene inficiato, derubricato a semplice conferimento dell’incarico. Sul punto sia Ceccanti che Clementi sono concordi nel ritenerlo non un effettivo cambiamento, perché già adesso la scelta del Capo dello Stato cade su chi ha vinto le elezioni. Un anno fa Mattarella non ha avuto alcun dubbio nel conferire l’incarico a Giorgia Meloni, e lo fece in tempi celeri. Dopodiché, in caso di crisi, il presidente della Repubblica si ritroverà con le mani legate.

Una riforma che, dietro la patina della democrazia decidente – gli elettori sceglieranno direttamente il premier: ecco lo slogan già pronto – nasconde numerose insidie. La norma anti ribaltone può rivelarsi un cappio al collo per la stessa maggioranza.

“Non si capisce – ragiona Ceccanti – perché non si sia adottato un modello molto più semplice. Una sola Camera che dia la fiducia, il rapporto fiduciario col premier, l’inserimento della proposta di revoca dei ministri, la proposta di scioglimento in caso di sconfitta sulla fiducia”. E resta un testo che parte dal governo: venerdì il via libera del consiglio dei ministri. Un chiaro manifesto della considerazione che si ha ormai del Parlamento.

Sorgente: Premierato, il presidente della Repubblica si trasforma in notaio. Il silenzio del Colle – la Repubblica

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