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30 April 2024
0 5 minuti 6 mesi

LA SORPRESA DELLA GUERRA. Colloqui anche con al-Sisi e il re giordano. Ma Abbas all’ultimo rifiuta di incontrarlo. E la Giordania annulla il vertice con gli Usa

Biden vola in Israele. È la seconda volta che il presidente americano si reca “sul fronte” dopo la visita a Kiev del febbraio scorso. Ma l’accettazione dell’invito di Netanyahu rappresenta un azzardo dall’esito più incerto perfino del viaggio in Ucraina. Nella regione infiammata, Biden mette in gioco la propria reputazione e quella degli Stati uniti come potenza egemone, o comunque con residua influenza sufficiente a disinnescare il conflitto.

LA VISITA di Biden segue quelle del primo ministro rumeno Ciolacu e del cancelliere tedesco Scholtz, ma quella del presidente ha il peso del pacchetto di aiuti militari promessi da Biden (munizioni per due miliardi di dollari per Israele ed Ucraina), della forza deterrente di marines e delle due portaerei in rotta per il Mediterraneo orientale.

Nel suo viaggio, Biden si recherà anche ad Amman per incontrare il re Abdullahe al Cairo per colloqui con al-Sisi. Nei piani iniziali anche un incontro con il presidente dall’autorità palestinese Mahmoud Abbas, che ieri dopo la strage all’ospedale di Gaza ha comunicato che non incontrerà più il presidente americano. Nell’ottica di impedire allargamento regionale del conflitto sarebbero inoltre attivati canali cinesi e qatarioti con gli iraniani.

Aggiornamento delle 0.05 del 18 ottobre: il regno di Giordania ha annullato il quadrangolare di Biden con Abu Mazen, Al Sisi e Re Abdullah II, dichiarando 3 giorni di lutto nazionale per le vittime di Gaza

Il viaggio è stato preparato dalla shuttle diplomacy del segretario di stato Blinken la cui spola fra Cairo, Gerusalemme ed altre capitali regionali negli ultimi giorni ha ricordato quella di Henry Kissinger durante il conflitto del Yom Kippur, esattamente cinquant’anni fa.

ALLORA, NELLO STUDIO ovale sedeva un Richard Nixon disinteressato, travolto dal Watergate che lo avrebbe di lì a poco scalzato e fu Kissinger l’artefice principale del negoziato fra Golda Meir, Anwar Sadat, gli stati arabi ed i loro sponsor russi per porre fine alle ostilità. In questa iterazione, se possibile più volatile con la regione, e quindi il mondo sull’orlo di un incerto precipizio, Biden ci mette la faccia come mai prima un presidente americano.

Per gli Usa, da subito schierato senza condizioni con lo storico alleato israeliano, si tratta di un campo minato. Innanzitutto per l’operazione militare dell’alleato che ha ad oggi provocato oltre 3.000 morti e 10.000 feriti nella striscia assediata, dove oltre 3.700 edifici sono stati rasi al suolo dalle bombe. Un obbiettivo primario sarebbe dunque l’apertura dei corridoi umanitari per la popolazione civile allo stremo, sfollata, senza acqua viveri ed energia elettrica.

All’annuncio di un iniziale accordo in questo senso, fatto da Blinken, non hanno per ora fatto seguito azioni concrete. Israele mantiene il blocco assoluto di approvvigionamenti e dei valichi, compreso quello di Rafah verso l’Egitto, dove rimangono bloccati anche i Palestinesi di nazionalità americana che tentano di lasciare la Striscia.

A FRONTE del sostegno «incondizionato», Biden potrebbe spingere Netanyahu a moderare l’attacco «totale» sulle macerie di Gaza, forse perfino a soprassedere sulla annunciatissima invasione di terra. In un’intervista rilasciata alla Cbs domenica scorsa Biden aveva detto di ritenere «un grave errore» una nuova occupazione. Sulla decisione dell’iniziativa presidenziale, infine, ha sicuramente influito il calcolo di un eventuale successo nel solidificare il sostegno della lobby ebraica, cruciale per qualunque democratico che aspiri a tornare alla Casa bianca.

Il problema per Biden è che l’esito è tutt’altro che assicurato, e proporzionali i rischi di un fallimento. L’opposizione repubblicana, non cessa di addossare al presidente «debole ed inefficace» la responsabilità della conflagrazione nella polveriera mediorientale. Qualunque fallimento potrebbe alzare il prezzo elettorale.

INTANTO, MENTRE dilaga la psicosi del terrorismo islamico, la prima vittima dell’odio su suolo americano è stato il bambino palestinese di Chicago di 6 anni accoltellato da un fanatico della neodestra. In questo scenario si registrano spiragli di resistenza, come la manifestazione di gruppi pacifisti ebraici che martedì hanno cinto la Casa bianca chiedendo l’immediato armistizio a Gaza.

Sorgente: ilmanifesto.it

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