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La premier teme che il leader leghista isolato possa diventare una mina vagante per il governo

L’offensiva europea di Matteo Salvini ha messo in agitazione tutto il governo. La giornata di piena campagna elettorale vissuta ieri a più di undici mesi dal voto, è un brutto segnale per la maggioranza. Il sistema elettorale proporzionale porta automaticamente i partiti a differenziarsi, ma l’allarme è già scattato: così ci si fa del male. I giorni del tutto contro tutti, inaugurati da un’intervista di Salvini al Corriere della Sera nella quale chiedeva agli alleati di firmare un patto per escludere qualsiasi accordo con la sinistra, ha scatenato azioni e reazioni che, secondo Giorgia Meloni, è ora di fermare.

Così, mentre Forza Italia e Lega se le davano di santa ragione, l’ordine di scuderia in via della Scrofa è stato «abbassare la tensione» e non reagire alle mosse scorrette dei soci di governo. Meloni fa sapere agli alleati che non è il momento di litigare, «prima si vota, poi ci si conta». E solo a quel punto quindi comincerà la partita vera e propria. La premier domani sarà da Mateusz Morawiecki, il premier polacco che in queste ore, tanto per complicare un po’ il quadro, sta ingaggiando un duello violentissimo con il leader del Ppe, Manfred Weber, «la Polonia a Est ha il gruppo Wagner e a Ovest il gruppo Weber», ha detto nei giorni scorsi.

La premier non si considera un’ingenua, capisce l’ansia da posizionamento degli alleati. Salvini, secondo l’analisi che si fa in FdI, si deve barcamenare in una serie di ostacoli: gli alleati impresentabili (in particolare i tedeschi di AfD, ma anche la stessa Marine Le Pen), il cordone sanitario che lo stringe a Bruxelles, i leghisti moderati che gli chiedono di uscire dall’isolamento estremista e di avvicinarsi ai popolari. Insomma, il vicolo sembra completamente cieco e quindi nessuno vuole infierire. Ma nei pensieri resta un’incognita: se Salvini non troverà una collocazione in Europa, la Lega potrebbe diventare un elemento di instabilità per il governo. Detto in altro modo: «Non ci possiamo permettere che Salvini sia al tempo stesso un oppositore a Bruxelles e il vicepremier a Roma – ragiona un dirigente di Fratelli d’Italia -. Ci sparerebbe addosso ogni giorno». Nel Carroccio hanno chiaro il ragionamento: «Il riallineamento degli orologi va fatto sull’ora di Roma, non su quella di Bruxelles», dicono da via Bellerio.

La nota con la quale Salvini ha sintetizzato il colloquio con Le Pen viene considerata «pura propaganda» in Fratelli d’Italia, «anche perché la stessa Le Pen rifiuta l’etichetta di centrodestra».

In realtà, nella prossima legislatura difficilmente le cose resteranno come sono. Il Parlamento europeo ha poteri diversi da quello italiano e le maggioranze si concepiscono in altro modo. L’esecutivo, per esempio, è indicato dal Consiglio, ovvero dai governi degli Stati membri. Per cui, escludere a priori qualunque collaborazione con i socialisti e i liberali di Emmanuel Macron è un esercizio puramente retorico. Così, ragionano in Fratelli d’Italia, se noi indicassimo un commissario leghista, come Giancarlo Giorgetti o Luca Zaia, Salvini voterebbe contro la Commissione? Speculazioni puramente teoriche (anche se i nomi in realtà girano davvero). Il punto è che la formazione della Commissione nasce in seno al Consiglio, quindi attraverso un accordo tra i governi. In molti, infatti, sottolineano come anche parte dei Conservatori presieduti oggi da Meloni abbiano votato quattro anni fa a favore di Ursula von der Leyen, come i polacchi del PiS di Morawiecki, proprio in seguito a un accordo di governo e lo stesso fece Fidesz, il partito di Viktor Orban, il premier ungherese che a quei tempi ancora figurava all’interno dei Popolari. Così, replicare il modello del centrodestra italiano anche in Europa è un sogno, tutti ne sono coscienti, praticamente impossibile.

Non è passato inosservato nella Lega che uno dei più duri nel replicare alla sfida di Salvini è stato Antonio Tajani. Il vicepremier e ministro degli Esteri ha un lungo curriculum europeo, due volte commissario, vicepresidente della Commissione, presidente del Parlamento, oltre agli incarichi di primo piano nel Ppe. Non è la prima volta che Tajani chiude le porte al dialogo con l’ultradestra tedesca e con il Rassemblement National. Ma il fatto che lo abbia ripetuto in maniera così netta a poche ore dalla visita, poi riconvertita in telefonata, di Le Pen a Salvini, ha dato la misura della tensione che si vive in queste ore. Il messaggio che il ministro degli Esteri ha voluto rivolgere era diretto, più che a Salvini, agli alleati del Ppe: «Non posso far passare l’idea che si possa associare il governo italiano con partiti di questo tipo», ha confidato ai suoi collaboratori. Secondo Tajani, l’ Alternative für Deutschland «è la cosa più vicina al neonazismo che c’è in Germania», e quindi, per loro, il cordone sanitario non può essere sciolto in nessuna maniera.

Sorgente: Destre contro, Meloni: “Prima contiamoci nelle urne e poi si decidono le alleanze” – La Stampa

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