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Lucia Goracci

Avete mai provato a contarli? Cento bambini in un campo profughi: se ti vengono intorno tutti insieme, addio riprese!

Cento bambini che cento mamme avevano portato in salvo dalle guerre. Per anni. Perché uscire illesi da un conflitto, che è già impresa ciclopica, non basta a salvarti: poi devi sopravvivere.

Cento bambini a cui qualcuno, un adulto, aveva tenuto la testa mentre correva via dalle bombe. Chiuso gli occhi, perché non vedessero ciò che allo sguardo di un bambino è insostenibile. Bambini da distrarre, quando devi fare le file per un pezzo di pane. Bimbi che da un pezzo hanno smesso di giocare. Ho visto uscire dalle guerre ragazzine che cullavano neonati, per accompagnarli a un sonno introvabile.

Cento bambini che nei cento limbo dove sono sopravvissuti –Turchia o Libano, Egitto o Libia – si sono ammalati e sono stati curati. Magari proprio da quelle ong internazionali che oggi sono costrette ad approdare in porti sempre più lontani, per la colpa di aver salvato vite in mare.

Bambini di cui ci si era presi cura. I bambini siriani, poi – non dimentichiamolo – il loro paese non l’hanno conosciuto mai.

Quando otto anni fa, sul bagnasciuga di Bodrum, il mare restituì il corpo di un bambino, Aylan Kurdi, oggi sepolto a Kobane da dove erano partiti anche 35 tra i disgraziati del naufragio di Pylos – ma non erano i nostri eroi della guerra all’ISIS, i curdi? – Aylan Kurdi la cui sorte indignò il mondo, senza però riuscire a cambiarlo, scrissi alcune righe, purtroppo ancora attuali: Ma nel mare tra la costa turca e Kos non c’era nessuno a sollevare quel bambino. Nessuno a sussurrargli nelle orecchie parole conosciute, per attutirgli la paura. Nessuno a cercare di tenergli il più possibile lontana la cruda coscienza della morte. Il caso, quel nulla sovrano che accompagna le nostre vite, quando non c’è più nessuno che voglia prendersene cura, ha voluto che annegasse in fondo al mare e riapparisse, composto come una bambola, sotto sguardi che ora non possono ignorarlo.

Provate a contarli mentalmente, cento bambini. A immaginare per loro cento volte un nome, un’età. Visto che l’abisso Calipso, il tratto di mare che li ha inghiottiti, è il più profondo del Mediterraneo e stavolta non ce li restituirà.

Quando nell’agosto del 2021 presi da Kabul l’ultimo C130 dell’aeronautica militare, con a bordo gli afghani che l’Italia era riuscita a salvare dalle tenebre talebane, ricordo lo stupore dei ragazzini, al momento dell’atterraggio a Roma. Erano salvi. Erano vivi. E guardavano, mai sazi fuori dagli oblò, il mondo nuovo.

Cosa è cambiato? Perché quelli li abbiamo salvati e questi no?

Cento bambini. Nemmeno io che li ho visti tante volte, riesco a figurarmeli. Ma erano all’ultimo miglio di un tormentato viaggio. E ci erano arrivati vivi.

Sorgente: Cento bambini – Articolo21

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