Scandalo. I giovani non conoscono il made in Italy e dicono “fuck you”

Essendo anch’io segno zodiacale “Uomo del fare”, come Briatore Flavio, non posso che essere d’accordo con il grande cuneese che il mondo della pizza ci invidia: questo ossessivo parlare di fascismo è una perdita di tempo che sottrae energie a cose più serie, tipo il menu estivo del Twiga. E deploro anch’io – come Flavio ha detto in una bella intervista a questo giornale – che suo figlio Nathan Falco non sappia nemmeno chi è Patty Pravo e quindi cosa cazzo volete che gliene freghi di via Rasella, delle Fosse Ardeatine e di tutto il resto. Questo ci porta dritti dritti all’idea di Giorgia Meloni: serve, anzi è urgentissimo, fare un “liceo del Made in Italy”, dove si insegni per prima cosa – già nel biennio – chi è Patty Pravo, e poi, semmai, anche a riparare le caldaie italiane, che non esplodano, così che non abbiano a ripetersi tragedie come Piazza Fontana o la stazione di Bologna.
Da quel che si capisce, il liceo del Made in Italy dovrebbe insegnare ai nostri ragazzi cosa è italiano e cosa no, difenderci dalle contraffazioni cinesi, assaggiare vini, stagionare il Parmigiano, servire a tavola e sorridere al momento della mancia, unico welfare rimasto.
Il dibattito è ricco e stimolante, e quindi non poteva mancare l’illuminata analisi di Daniela Santanché (donna del fare, e del fare insieme a Flavio): “In questi anni abbiamo avuto una sinistra che ha invogliato i giovani a fare il liceo”; licei peraltro moltiplicati da lady Moratti quand’era ministro dell’Istruzione di Berlusconi, e poi realizzati da Mariastella Gelmini quand’era ministro dell’Istruzione di Berlusconi. Una li ha pensati (i licei), una li ha istituiti, e poi la sinistra (intendono il Pd, roba da matti, ndr) ha invogliato la gente ad andarci. Gira la testa, eh? E questo è niente. Tenetevi forte.
Come sempre quando la questione si fa dura, più dura del comprendonio di Giorgia e Daniela, arrivano i maestri di sostegno ad aggiungere complessità. Uno è l’ideuzzologo autarchico Fabio Rampelli, con la sua nuovissima trovata – mai sentita, davvero inedita, che sorpresa! – di dare multe qua e là a chi usa parole straniere (tipo “made in Italy”, per dire, con cui hanno battezzato un ministero e vogliono creare un liceo). L’altro è il cognato dell’agricoltura, ministro di Giorgia Meloni, che sogna di mandare a zappare i giovani che prendevano il reddito di cittadinanza, e ora non lo prendono più. Insomma, l’agricoltura italiana ha bisogno di braccia, le braccia stanno attaccate a corpi posteggiati sui divani, bisogna che si alzino e vadano a raccogliere le arance, mentre gli studenti del liceo Made in Italy controllano che i divani siano veramente italiani e non, che so, costruiti in Belgio o in Albania.
Il segreto obiettivo di tutta questa frenesia riformista che la destra italiana lancia sul mercato delle scempiaggini – mercato in grande espansione – sarebbe quello di recuperare un’egemonia culturale, rispolverando tradizioni e italianità là dove ancora si possono trovare. Spezzare le reni alla farina di grilli e inchiodare sul bagnasciuga due bistecche sintetiche, magari con otto milioni di cotolette, riporterebbe in alto i cuori. Anche affollare le bidonvilles della piana di Rosarno con raccoglitori ex-fancazzisti non sarebbe male. Per non dire del ritrovato rispetto della nostra amata lingua, oggi così lordata dal “forestierismo” (sic), per cui molti giovani – sbagliando – preferiscono rifugiarsi in un “fuck you”, aglofono e globalista, invece dell’italianissimo, volitivo e maschio “vaffanculo”.
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