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Questa è la verità più triste della storia: dietro ad Aboubakar Soumahoro non c’era nessun piano contro il caporalato e il bracciantato di frodo

 

Non conoscevo Aboubakar Soumahoro prima dell’intervista a Piazzapulita. Per varie ragioni non era mai stato ospite del programma. Quando l’ho incontrato, a pochi secondi dalla fatidica lucetta rossa che segna l’inizio della diretta, ho pensato: quest’uomo è completamente solo. Attaccato e deriso dalla destra, abbandonato di colpo dalla sinistra, Aboubakar era all’improvviso divenuto un’icona al rovescio, un uomo nero senza più alcuna verità. Così, man mano che gli chiedevo conto delle cooperative di famiglia, del modo in cui aveva speso i 220.000 euro di donazioni per i ghetti di lamiera del foggiano, del robusto mutuo per la casa, stavo attento a non forzare il tono della voce.

Troppo facile – dicevo fra me e me – accanirsi adesso, mancare di rispetto all’eroe nella polvere. In fondo Aboubakar Soumahoro, non indagato ma certamente consapevole degli stipendi non pagati e dei diritti negati a lavoratori e migranti nell’azienda di moglie e suocera, non era un grosso enigma da indagare. Confesso che più volte, nell’ultimo anno, mi era giunta voce di malumori e contraddizioni, di lamentele nel mondo sindacale pugliese, l’epicentro della sua tumultuosa ascesa. Si parlava di un uomo spregiudicato, accentratore, troppo ambizioso. Che aveva costruito un sindacato, la Lega Braccianti, a suo completo servizio.

Eppure, qualunque critica ad Aboubakar sarebbe stata fuori luogo. Perché era ormai lanciato e ipermediatico, era l’anti Salvini afro-italiano, autobiografia del ghetto e del suo riscatto. Per questo è stato candidato dalla sinistra radicale. Con fretta e voracità, sicuri di portare a casa i voti di un simbolo. Lo hanno ammesso candidamente Bonelli e Fratoianni: ci siamo fidati del sistema mediatico che lo sponsorizzava. Così un partito ha abdicato al controllo e spalancato le porte di Montecitorio al bracciante nero con le galosce ai piedi e il pugno alzato.

Lui incarnava la lotta per i diritti negati degli schiavi nei campi. Caduto lui, finita la lotta. Perché questa è la verità più triste della storia: dietro Aboubakar non c’era nessun piano contro caporali e bracciantato di frodo. Nessun progetto politico. Dietro Aboubakar c’era Aboubakar, il suo boom mediatico, la sua pagina Instagram, i mille video social. Caduto lui, spariti gli schiavi ai bordi dell’inquadratura. Forse a sinistra, oltre a rimettere piede nei territori, dovrebbero cominciare a parlare di idee. E le galosce, casomai, indossarle dopo.

Sorgente: Aboubakar Soumahoro, che cosa è successo al parlamentare

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