Quello che l’Egitto aveva da dire sul caso Regeni lo ha già detto nelle scorse settimane come ha spiegato ai nostri magistrati Nicola Russo, il capo dipartimento del Ministero della Giustizia. “Per gli egiziani nessun processo e nessuna collaborazione sono possibili”
Giuliano Foschini
C’è un documento di cinque pagine, depositato al tribunale di Roma, con la firma del ministero della Giustizia, che documenta il perché l’incontro che si è tenuto ieri tra la premier italiana, Giorgia Meloni, e il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi è stato una farsa. Per lo meno per quanto riguarda “la forte attenzione al caso di Giulio Regeni”, come da resoconto ufficiale.
E’ stato una farsa perché tutto quello che l’Egitto aveva da dire sul caso Regeni lo ha già detto nelle scorse settimane come ha spiegato ai nostri magistrati Nicola Russo, il capo dipartimento del Ministero della Giustizia. “Per gli egiziani nessun processo e nessuna collaborazione sono possibili”. Punto e basta. Dopo sei anni e mezzo di depistaggi e prese in giro (“siamo pronti a collaborare”, “offriremo elementi utili” eccetera) Russo ha spiegato ai giudici italiani come il Cairo avesse gettato la maschera. “La procura egiziana ha ribadito che resta valido quanto contenuto nel decreto di archiviazione per i quattro imputati in Italia, firmato dai magistrati egiziani nel dicembre scorso. In Egitto non si potrà più aprire un procedimento per il caso Regeni nei loro confronti, per il principio del ne bis in idem”. I quattro agenti dei servizi segreti egiziani che, secondo la Procura di Roma hanno sequestrato, torturato e ucciso Giulio, dicono in Egitto, sono stati già prosciolti al Cairo nel corso dell’inchiesta. E quindi non è possibile che affrontino un processo a Roma. Né tantomeno che l’Egitto collabori alle indagini italiane.
dal nostro inviato Tommaso Ciriaco, Giuliano Foschini
Cosa significa, stando così le cose, quindi “forte attenzione al caso Regeni” come ieri ha detto la premier Meloni? E’ bene ricordare che il processo Regeni è fermo da quasi due anni per una questione procedurale: secondo la Corte d’Assise, e la Cassazione, l’udienza non può cominciare se non vengono notificati gli atti agli imputati. Ma la notifica è impossibile senza la collaborazione dello stato straniero, l’Egitto, che non consegna gli indirizzi all’Italia. Per ottenerli in questi anni si è mossa la politica e la diplomazia. L’ex ministra della Giustizia, Marta Cartabia, si era offerta di andare personalmente al Cairo. Ma, come ha spiegato il ministero al tribunale, l’Egitto non si è degnato nemmeno di una risposta. Per questo motivo l’ex premier Mario Draghi aveva maturato la decisione di non partecipare al Cop26. Draghi che aveva compiuto anche un altro atto dal valore fortemente simbolico contro il Cairo: la costituzione parte civile della presidenza del Consiglio nel procedimento contro i quattro agenti.
Meloni ha, invece, scelto di cambiare rotta. Foto di rito con Al Sisi, comunicato di circostanza con due parole su Regeni, nessun contatto diretto (è la prima volta che accade dalla morte di Giulio) con la famiglia o con il suo legale, Alessandra Ballerini. E’ tutto finito? Sul tavolo ci sono tre possibilità. La prima è, allo stato, irreale, o come spiegava ieri una fonte dell’intelligence possibile soltanto in caso di cambio di scenario politico al Cairo, tradotto possibile soltanto in caso di una caduta di Al Sisi: l’Egitto dovrebbe comunicare gli indirizzi all’Italia o decidere di riaprire il fascicolo ammettendo la presenza “di nuovi elementi”. Il secondo è la strada tecnica prevista dalla norma Cartabia: è possibile la notifica non a casa ma sul luogo del lavoro degli imputati. Essendo dipendenti del ministero si potrebbe provare a notificarli. Ma la strada è strettissimo. Il terzo tentativo è quello dell’arbitrato internazionale: portare l’Egitto davanti a un giudice per aver violato la convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, sottoscritta anche dall’Egitto. A proporlo dovrebbe essere il ministro della Giustizia e soprattutto la presidenza del Consiglio, dove lavorano i nuovi amici di Al Sisi.
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