0 9 minuti 1 anno
3 ott. 2022
da parte di Alfonso Navarra – portavoce dei Disarmisti esigenti – www.disarmistiesigenti.org  
link intervento (e materiale documentativo che si aggiungerà):  http://www.disarmistiesigenti.org/2022/10/02/noguerra-nosanzioni-nonpaghiamo/
Il collegamento tra il NON PAGHIAMO (sarebbe meglio dire: NON SIAMO IN GUERRA, NON PAGHIAMO)  come autoriduzione delle bollette e l’obiettivo disarmista sta nel ruolo dominante della guerra nella crisi energetica ed economica; ne consegue l’obiettivo della revoca delle sanzioni energetiche come rifiuto della guerra economica che si affianca al confronto militare sul campo ucraino, ai combattimenti in fase di escalation (con una possibile deriva nucleare da non sottovalutare, oggi più probabile dopo le difficoltà militari dell’esercito russo e dopo l’annessione alla Russia delle 4 province ucraine).
Da nonviolenti (senza trattino) quali siamo il rifiuto si accompagna alla proposta costruttiva di usare la conversione energetica, nel rispetto degli accordi di Parigi, come ponte di dialogo e di pace.
Inviteremmo  gli ecopacifisti a dismettere un atteggiamento che è probabilmente viziato da un pregiudizio sulla questione sanzioni (sarebbero uno strumento nonviolento solo perché non si spara!), per adottare invece la posizione dell’appello che vede come primi firmatari, oltre al sottoscritto, Antonia Sani – Luigi Mosca – Moni Ovadia – Alex Zanotelli – Angelica Romano – Patrizia Sterpetti – Luciano Benini – Antonino Drago – Federica Fratini – Antonella Nappi.
Appello che trovi al link:
L’obiettivo più appropriato per una tale campagna è la revoca delle sanzioni perché sono proprio le aspettative di carenza dell’offerta causate dalla guerra il fattore principale e decisivo per la speculazione sui titoli derivati che contribuisce a determinare i prezzi. Il costo di estrazione è infatti immutato, mentre aumentano i costi di trasporto e di distribuzione, anche in seguito ai sabotaggi degli impianti e ai diversi incanalamenti dei flussi sempre dovuti alla guerra.
La famosa Borsa di Amsterdam ha una importanza secondaria sia sul piano qualitativo che sul piano quantitativo  perché ad esempio, i ministri UE, che non si sono messi d’accordo sul “price cap” comune del gas (ognuno se ne va per conto proprio, in testa la Germania che  ha deciso di stanziare aiuti per 200 miliardi e di attuarlo in proprio), però sganceranno le quotazioni di questa materia prima dal TTF (Title Transfer Facility), appunto di Amsterdam.
Il nostro titolare del MITE Cingolani ha annunciato – possiamo leggerlo su IL SOLE 24 ORE del 1 ottobre, che, per fissare il prezzo, si sta lavorando ad una media su grandi indicatori di riferimento in grado di riflettere meglio la realtà degli scambi energetici.
Questo non significa abolire la speculazione ma contenerla ed evitare un su e giù, una volatilità eccessiva.
Per abolire del tutto la speculazione sui titoli finanziari occorrerebbe partire dal concetto e dalla pratica dell’ENERGIA BENE COMUNE, quindi da un mercato energetico in cui gli operatori non fossero attori privati guidati dalla logica del profitto.
Beni comuni, sostanzialmente i 4 elementi: terra, acqua, aria, fuoco (= l’energia).
Da distinguere dai beni pubblici e da qualsiasi altro tipo di risorsa collettiva.
Le grandi imprese energetiche dovrebbero essere compagnie pubbliche con l’obiettivo prioritario di garantire un servizio ai cittadini.
Sappiamo benissimo che, per quanto riguarda l’Italia sicuramente, i principali operatori sono privati solo per modo di dire.
La privatizzazione è un gioco al mascheramento perché lo Stato italiano resta sostanzialmente il primo azionista e sono i governi in carica che nominano gli amministratori di tali società (ENI, ENEL, SNAM, TERNA…).
La privatizzazione formale rende più debole la pianificazione e il controllo pubblico delle politiche energetiche e permette che il management sia assimilato al settore privato per mentalità ed emolumenti (saltano i tetti legali agli stipendi, se sono un AD di una SPA posso legittimamente guadagnare molto di più e agire per massimizzare i miei guadagni personali).
Il potere politico si avvantaggia della situazione perché viene rafforzato il potere clientelare delle oligarchie e si creano giri politico-affaristici (in questo settore, come del resto in quello delle armi, fioccano le maxi-tangenti).
L’aumento dei prezzi registrato sotto la pandemia era per la diminuzione della domanda e strategia conseguente dell’offerta: un Bin Salman nell’OPEC sapeva che bisognava tagliare la produzione per fronteggiare i consumi inferiori della gente sottoposta ai vari lock-down.
La limitazione dell’offerta era, nel 2021, anche da parte della Russia, proprio mentre diversi Paesi in Asia, specialmente la Cina, ma anche l’India, stavano (e stanno) facendo incetta di gas senza badare a spese per sostenere la ripresa economica nella previsione della prossima fine della fase acuta della pandemia.
Ora c’è invece una speculazione che si innesta sulle previsioni di una riduzione dell’offerta, della scarsità del bene.
Mi pare che da una scarsità più che altro temuta ora si stia passando ad una carenza reale, anche questa causata dalla guerra.
Non bisogna, a questo proposito, sottovalutare l’impatto economico e soprattutto ambientale dei sabotaggi di Nord Stream 1 e 2.
Gli 80-100 milioni di metano finora emessi nell’atmosfera non sono una tantum, ma un grave contributo all’aggravamento dell’effetto serra, quindi un vulnus all’ecosistema globale di carattere permanente.
Un vulnus in cui tutti siamo ferocemente aggrediti dalla guerra, perché la nostra specie, parte dell’unico sistema vivente, non può sopravvivere pregiudicando la sua base naturale: il “Creato”, per i quali i cristiani devono sentire una particolare responsabilità di custodia, affidata dal Creatore stesso.
Si comprende l’esigenza dei lettori che si lavori il più possibile con numeri e tabelle ufficiali.
Cosa che mi riprometto di fare, preparando quanto prima un dossier che deve accompagnare NON SIAMO IN GUERRA – NON PAGHIAMO.
Aggiorneremo la mostra sull’energia che già abbiamo esposto in piazza il 26 settembre, Petrov Day, a Milano, in piazzale  Stazione di Porta Genova.
Come anticipo per questo lavoro propongo per l’intanto una tabella di Confindustria da cui si evince che c’è una turbolenza dei prezzi anteguerra (settembre e gennaio 2021), ma sicuramente l’invasione di Putin segna un salto…
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La crisi vista dal punto di vista della cittadinanza che subisce aumenti delle tariffe elettriche comincia ad assumere toni drammatici e iniziano le manifestazioni di protesta. A Napoli e a Bologna dei comitati hanno inscenato dei falò simbolici delle bollette.
C’è stata una manifestazione a Torino di 200 persone davanti alla sede Iren. Allo sportello sono stati riconsegnati i moduli di reclamo e di autosospensione dal pagamento delle bollette di teleriscaldamento. Da lunedì sono previste altre manifestazioni. L’’USB ha annunciato sit-in tutto il paese in occasione della «giornata internazionale di lotta alla crisi e al carovita. ll sindacato depositerà alla procura di Roma una denuncia «contro tutte le condotte poste in essere
dalle società che commerciano gas, energia elettrica e prodotti petroliferi ai danni della collettività».
Ma la soluzione al problema specifico è a portata di mano e ce la dà la brutta, sporca e cattiva Ungheria: parliamo con Putin (lo può fare il nuovo governo Meloni) e semplicemente ribadiamo che si comprerà da GAZPROM la stessa quantità di gas allo stesso prezzo di prima…
Poi c’è l’eventuale aggiunta ecopacifista che faremmo se fossimo a capo di un governo rosso-verde formato da rappresentanti concreti (e non da pragmatici opportunisti come in Germania):
Siccome,  contro la cultura del nemico, consideriamo l’energia “terreno di cooperazione tra i popoli”, ti proponiamo di continuare a venderci la medesima quantità di petrolio e gas allo stesso prezzo che facevi prima. Poiché siamo intenzionati a rispettare gli accordi di Parigi sul clima che tutto il mondo, compresa la tua Russia, ha firmato, è ovvio che, perseguendo l’obiettivo della decarbonizzazione, usciremo dai combustibili fossili e quindi ne consumeremo sempre di meno. I soldi che dovremmo risparmiare per questo minor consumo tendente allo zero li mettiamo in un fondo per aiutare voi ed insieme gli ucraini a decarbonizzare, come avete deciso nelle varie COP che discutono come attuare Parigi. Quello che ti proponiamo è, per l’intanto su questo aspetto, di lavorare insieme (insieme anche agli ucraini) per fare la pace con la Natura, il compito principale dell’intera Umanità oggi, per salvare l’ecosistema terrestre che sta bruciando. Il lavoro comune per la decarbonizzazione contribuirà allo sviluppo della pace tra gli uomini, di una comunità mondiale che pratichi la fratellanza/sorellanza: impariamo a percorrere il cammino della nonviolenza laddove le attività militari devono diventare tabù”.
(Dall’appello NON SIAMO IN GUERRA, NO SANZIONI)
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