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29 March 2024
0 7 minuti 2 anni
CENTO ANNI FA. Il capogruppo di Leu alla camera Federico Fornaro nel suo recente libro “Il collasso della democrazia” ripercorre il triennio dell’ascesa di Mussolini. E sulle prossime elezioni dice: «Si rischia di riportare indietro le lancette del tempo. Meloni non rinuncia alla fiamma perché è il filo nero con la Repubblica di Salò»
fotografia: Militanti di Fratelli d’Italia – LaPresse

Federico Fornaro, capogruppo di Leu alla camera e candidato per Articolo 1 nella lista proporzionale del Pd in Piemonte, ha scritto un nuovo saggio storico in questi giorni in libreria – Il collasso di una democrazia (Bollati Boringhieri) – nel quale ripercorre e analizza gli eventi del triennio 1919-1922 che hanno segnato l’ascesa di Mussolini.

Nell’ultimo capitolo ci sono anche degli «avvisi ai naviganti» che cento anni dopo hanno davanti elezioni politiche che si annunciano storiche.

A suo parere c’è una lezione che il fronte democratico avrebbe dovuto trarre dai fatti di cento anni fa?

Dal triennio 1919-1922 credo si possano trarre diversi suggerimenti per evitare di ripetere gli stessi errori. In primo luogo non sottovalutare gli avversari e la portata simbolica di alcuni eventi. Senza avere il mito sterile dell’unità ad ogni costo, ci sono momenti in cui la massa critica di contrasto all’avanzare della destra è un fattore da anteporre alle divisioni e ai rancori personali largamente presenti a sinistra. Il mito di «fare come in Russia» che allora ispirava i massimalisti ovviamente ha perso la forza evocatrice di cento anni fa, ma quello del superamento del capitalismo è ancora largamente presente. Ci sono fasi storiche in cui, però, occorre far prevalere in primo luogo il valore dei risultati raggiunti e ricercare alleanze sociali per riprendere il cammino dell’uguaglianza e della giustizia sociale, piuttosto che privilegiare posizioni identitarie ed elettoralmente sterili, a tutto vantaggio degli avversari.

Come anche lei ricostruisce, senza il sostegno dei poteri economici il fascismo non avrebbe mai potuto fare il salto verso il colpo di stato. A suo giudizio, la destra oggi gode di appoggi e condiscendenze assimilabili?

Sono tra quelli che ritengono che il fascismo mussoliniano del ventennio non sia ripetibile. Resta nelle società contemporanee quello che Umberto Eco definiva il «fascismo eterno», di cui sono evidenti molteplici indicatori e che potrebbe far scivolare verso forme di democrazie illiberali sul modello dell’Ungheria di Orban. Non avrei oggi grandi dubbi sulla fedeltà democratica della borghesia italiana, anche se il disprezzo per la politica (e nei fatti per il parlamento) espresso a più riprese dal presidente di Confindustria Bonomi è da sempre una delle armi usate dal populismo di destra per screditare la democrazia rappresentativa e favorire derive antidemocratiche.

Ripercorrendo il triennio dell’avanzata fascista, crede sia possibile individuare un punto di non ritorno nella crisi della democrazia liberale?

L’incapacità di gestire lo straordinario successo elettorale del novembre 1919 da parte dei socialisti massimalisti e dei comunisti a causa dell’abbagliamento prodotto dal faro della rivoluzione russa condizionò pesantemente gli eventi, anche per responsabilità dei popolari e dei giolittiani. I primi scelsero la strada dell’intransigenza assoluta rispetto ad accordi con la sinistra e all’inizio con gli stessi liberali, mentre quest’ultimi si illusero di utilizzare i fascisti in funzione bolscevica per poi sbarazzarsene. La monarchia, poi, non fece quello che era nelle sue possibilità per impedire la marcia su Roma. Come indica il titolo del libro si assistette a un «collasso strutturale» dell’edificio della democrazia liberale post unitaria, piuttosto che a un singolo evento scatenante. Anche se non bisogna sottovalutare il ruolo distruttivo della sistematica violenza degli squadristi fascisti a partire dall’autunno del 1920 che mise in ginocchio le organizzazioni socialiste a tutti i livelli. In definitiva prevalse una sottovalutazione generalizzata del pericolo rappresentato da Mussolini e dalla sua milizia.

Federico Fornaro

In conclusione lei descrive tre tipologie di movimenti alla destra del conservatorismo tradizionale: l’estremismo, il populismo e l’autoritarismo. Quali tendenze sono presenti nel nostro paese e – eventualmente – nella destra che punta al governo?

In Italia l’estremismo di destra è residuale, ma non da sottovalutare come testimonia l’attacco alla Cgil dell’autunno scorso. La crisi di governo ci ha restituito uno schieramento di destra-centro in luogo del tradizionale centro-destra guidato da Berlusconi. Oggi la proposta di quest’area è un misto di populismo e di tradizionale autoritarismo seppur nella forma blanda della leader al comando, salvatrice della patria. Uno dei pericoli reali è quello che siano riportate indietro le lancette del tempo rispetto alle conquiste sociali e in materia di diritti civili, soprattutto per quel che riguarda l’emancipazione delle donne e il traguardo di una piena e sostanziale uguaglianza. In presenza di un successo travolgente nelle urne vi sarebbe, poi, il concreto rischio di una radicale riscrittura della Costituzione in senso presidenzialista.

Cosa pensa del modo in cui Giorgia Meloni ha risposto alla richiesta di condannare il fascismo?

Le parole sono importanti ma i simboli in politica forse ancor di più. Perché orgogliosamente Fratelli d’Italia si rifiuta di togliere dal simbolo che sarà stampato sulle schede elettorali la fiamma tricolore? Semplicemente perché quella fiamma è il «filo nero» della tradizione della destra italiana che affonda le sue radici nella fondazione, nel dicembre 1946, del Movimento sociale italiano, ad opera di reduci della Repubblica sociale italiana. Non bisogna sottovalutare le ragioni di questo mancato taglio netto, perché esso spesso si accompagna, nella pubblicistica della destra, alla narrazione riduzionista del Ventennio, con Mussolini e il fascismo assimilati a una sorta di «tumore benigno» contrapposto a quello «maligno» del nazismo Hitler e del comunismo di Stalin.

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