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Cloe Bianco, al secolo Luca Bianco, fece scalpore nel 2015 presentandosi in abiti femminili ai propri studenti

Camper a fuoco, l’addio della transgender sul blog. Un pasto ricco e vino prima di togliersi la vita: l’ultimo racconto dell’ex docente che nel 2015 fece scalpore presentandosi in classe in abiti femminili. Il dolore della comunità Lgbtqia+

di Tommaso Moretto . Alice D’Este

Può uno schiaffo tanto violento da stendere una società intera, essere allo stesso tempo educato e composto? Cloe Bianco, transgender, parlando apertamente del dolore che ha accompagnato la sua vita, è riuscita a tenere insieme questo ossimoro. Uno schiaffo partito poco prima della sua morte e arrivato pochi giorni dopo, quando si diffondono online gli scritti del suo blog. Il cadavere carbonizzato è stato ritrovato sabato 11 giugno alle 6.30 del mattino in un furgone che lei, originaria di Marcon (Venezia) usava come casa mobile. E parcheggiato a lato della strada regionale tra Auronzo e Misurina, in località Somprade. Era tutto bruciato, non c’era quasi più nulla quando sono arrivati i pompieri. Ora, però, sappiamo che è stata lei a togliersi la vita, consapevolmente.

L’ultimo post

Il 10 giugno sul suo sito Cloe ha spiegato tutto: «Subito dopo la pubblicazione di questo comunicato porrò in essere la mia autochiria, ancor più definibile come la mia libera morte. In quest’ultimo giorno ho festeggiato con un pasto sfizioso e ottimi nettari di Bacco, gustando per l’ultima volta vini e cibi che mi piacciono. Questa semplice festa della fine della mia vita è stata accompagnata dall’ascolto di buona musica nella mia piccola casa con le ruote, dove ora rimarrò. Ciò è il modo più aulico per vivere al meglio la mia vita e concluderla con lo stesso stile. Qui finisce tutto». Contestualmente ha pubblicato il suo testamento biologico, e quello olografo (scritto a mano).

Il racconto dell’inquietudine

Il post del blog porta la data del 10 giugno, poche ore prima di morire. Ma da tempo Cloe Bianco dava sfogo alle sue inquietudini, denunciava i «tentativi di annientamento», la sofferenza che sentiva causata da chi la circondava e non accettava la sua scelta. «Essere una persona fuori dai canoni diffusi, dai modi comuni del vivere, ossia fuori da quello ch’è ritenuto giusto in una data società in uno specifico periodo temporale — scriveva — vuol dire incarnare ciò che non si deve essere, con le fin troppo ovvie conseguenze di rifiuto date dalle scelte ritenute, dalle altrui persone, scandalose, inaccettabili, non condivisibili». Una sofferenza che viveva pur descrivendo se stessa come una «persona transgenere che ha un’indiscussa considerazione positiva per la transgenerità autodeterminata e depatologizzata, per cui ha un indiscusso amore per questa sua caratteristica». «La transfobia uccide in molti modi diversi, anche indirettamente — dice Chiara Cuccheri, presidente dell’Arcigay di Padova – ciò che è successo a Cloe Bianco ci lascia sconvolti e amareggiati. Lo stress di minoranza che colpisce la comunità LGBTQIA+ purtroppo porta a questi casi estremi, ci stringiamo attorno ai familiari e amici che l’avevano persa di vista. Vogliamo ribadire — continua Cuccheri — a tutte le persone in difficoltà che noi ci siamo, non siete sole e soli, siamo una comunità, diventiamo spesso una famiglia. Ci siamo con i nostri eventi, il Padova Pride, il Centro antidiscriminazioni Spolato, con la nuova casa rifugio di Padova. Quando la società ci relega ai margini, cerchiamo insieme modi per emergere».

L’altra Cloe

Cloe nel 2015 era Luca Bianco, aveva cinquant’anni, era un insegnante tecnico all’istituto «Mattei» di San Donà di Piave quando entrò in classe vestita in abiti femminili, palesando chi si sentiva veramente, cioè Cloe. Un passo forte, che l’aveva catapultata sui tutti i media nazionali. Dopo una sospensione di tre giorni aveva cambiato mansioni, non più a contatto con i ragazzi ma nelle segreterie didattiche. Dopo l’ultima nomina annuale al «Giordano Bruno» di Mestre, Cloe si era isolata. «Quando strappo l’erba o altre piantine nate da sé nei vasi dei miei fiori o vicino a piante da me messe a dimora a terra, mi pongo il problema dell’inaccettabile ingiustizia della sorte: perché alcune piante possono vivere e altre invece sono destinate a soccombere?», si legge nel suo blog. La procura di Belluno ha disposto l’esame del Dna, ci vorrà tempo per l’ufficialità che si tratti di lei. Ma dubbi non ce ne sono. E nemmeno sull’enorme sofferenza che l’ha sempre accompagnata in vita: «Io sono brutta, decisamente brutta, sono una donna transgenere. Non faccio neppure pietà, neppure questo». La Regione Veneto ha istituito un numero verde (800.334.343) a cui possono rivolgersi le persone in difficoltà psicologica.

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