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(Ermanno Bencivenga – laverita.info) – In un altro articolo avevo notato il fatto, evidente a quanti non nascondano la testa sotto la sabbia, che quella che nella cultura popolare e nella politica istituzionale va oggi sotto il nome di sinistra è penosamente inadeguata al suo ruolo. Come risultato, molti (inclusi, ahimè, molti giovani) si sono convinti che non esista più alcuna distinzione significativa fra destra e sinistra e, in parte per questo motivo, si sono allontanati dalla politica, la quale, ritengono, non farà per loro nessuna differenza.

La sinistra, avevo anche detto, dovrebbe essere definita dall’impegno nella difesa degli oppressi e della giustizia sociale, ma i partiti e i mezzi di informazione che si fregiano oggi di questa etichetta sono schierati in modo uniforme a sostegno della grande finanza e delle multinazionali (oggi soprattutto di quelle del farmaco), e per gli oppressi che soffrono nel nostro Paese manifestano noncuranza, se non disprezzo. Vorrei approfondire la questione e, in prima battuta, spiegare come siamo arrivati fin qui.

Per motivi anagrafici, io sono diventato adulto in un periodo storico in cui i temi della giustizia sociale e della difesa degli oppressi erano dominanti nella conversazione pubblica. Non potevo saperlo, ma era la fase finale di un quarantennio, durato dai primi anni Trenta ai primi anni Settanta del Novecento, che aveva visto grandi conquiste in proposito: dal New Deal di Franklin Delano Roosevelt alle lotte per i diritti civili in America e alle lotte sindacali in Italia, per arrivare alla protesta giovanile e al conseguente stabilirsi di una nuova cultura e una nuova sessualità.

Un’altra cosa che non potevo sapere è che i conservatori erano da tempo attivamente al lavoro per riappropriarsi della conversazione pubblica e imporvi i propri parametri e valori. Al termine di questo lavoro, che ebbe uno straordinario successo, certe idee o proposte non sembrarono più né giuste né sbagliate, ma strane, fuori tema, estranee al rango delle opzioni plausibili. Tale divenne, per fare un solo esempio, l’idea che le tasse fossero usate per riequilibrare i redditi e ridurre la sperequazione economica: un candidato che, a partire almeno dagli anni Ottanta, si presentasse all’elettorato con una proposta del genere sarebbe andato incontro a un suicidio politico. E, dopo l’appropriazione del discorso, i fatti seguirono le parole e l’intero mondo prima occidentale e poi globalizzato venne a essere dominato da un gigantesco blocco conservatore, al quale non era neanche concepibile un’alternativa – era, appunto, fuori dal rango delle opzioni plausibili.

Ogni movimento politico, però, crea naturalmente al suo interno una sua destra e una sua sinistra. Questo vale anche
per il blocco conservatore che oggi domina il mondo: anch’esso ha frange più decisamente reazionarie e altre più progressiste, ma queste ultime non rappresentano la sinistra in quanto tale – rappresentano quella che potremmo chiamare la sinistra della destra. Vivendo negli Stati Uniti, ho visto questo fenomeno in azione a partire dagli anni Novanta, quando, dopo 12 anni di presidenza repubblicana, venne alla ribalta Bill Clinton, che si fece alfiere di quella che fu detta una «nuova sinistra» (in Italia, ricordo, si parlava con toni ammirati del «clintonismo») e che era in sostanza, appunto, la sinistra della destra.

A questa cosiddetta sinistra, peraltro, riesce spesso più facile compiere mosse conservatrici che sarebbero impossibili a frange più reazionarie dello stesso blocco. Così Clinton demolì quanto c’era in America di stato sociale; firmò accordi internazionali che consentirono alle aziende di delocalizzare la produzione in Paesi con manodopera a basso costo, demolendo di fatto anche l’azienda manifatturiera degli Stati Uniti e creando una massa di scontenti che sarebbe poi diventata il popolo di Trump; inasprì a tal punto le pene, anche per reati minori, da dar origine a un universo carcerario che è arrivato a contare oltre 2 milioni di detenuti. Mosse del genere non sarebbero state possibili per Reagan o Bush padre; per il comeback kid dell’Arkansas, piece of cake.

Così, se oggi è difficile capire in che senso, diciamo, Berlusconi sia di destra e Letta o Renzi di sinistra, è perché siamo vittime di un’illusione prospettica. Non stiamo guardando a tutto lo spettro delle opzioni politiche possibili, ma a un unico blocco conservatore che ha una sua destra e una sua sinistra, i cui membri sono d’accordo sul 99% delle scelte qualificanti e differiscono solo per delle inezie. Certo, ai propri sostenitori bisogna dare a bere che ci siano distinzioni e scelte decisive in ballo, e le si va a prendere fra quei temi di carattere sociale che, per quanto di indubbia importanza, non incideranno però, quale che ne sia la soluzione, sui veri rapporti di potere e di controllo e che comunque (l’ho spiegato in un altro articolo) danno origine soltanto a opposti isterismi.

In una situazione di tale confusione ideologica, bisogna muoversi seguendo non i tic del passato ma la stella polare della ragione. Chi sono oggi gli oppressi? L’ho detto e lo ripeto: bambini senza gioco, studenti senza educazione, lavoratori senza lavoro, creativi senza un pubblico, anziani condannati all’ergastolo senza colpa e senza processo. Chi li difende? Chiunque sia, quella è la sinistra oggi, e parla anche (almeno con la mia voce) dalle colonne di questo giornale. E sarebbe ora che si riconoscesse e si contasse.

Sorgente: Gli oppressi ci sono ancora, la sinistra no – infosannio

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