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L’Italia delle relazioni politica-affari: esce un paper con tutti i dati scritto da quattro economisti guidati da Marco Leonardi e Battista Severgnini. Così il mondo Fininvest garantì peso e pubblicità a chi finanziò Forza Italia o fece endorsement al Cavaliere

Jacopo Iacoboni

Le aziende italiane che sostennero fin dalle origini Silvio Berlusconi e Forza Italia nella ormai leggendaria “discesa in campo”, negli anni ruggenti tra 1994 e 2001 hanno guadagnato tra il 30% e il 50% in più delle imprese concorrenti, sia come vendite dei loro prodotti, sia come lavori ottenuti e livelli di occupazione conseguenti. Sostenere il potere evidentemente paga, in Italia, e ha pagato. Ma qui se ne ha una conferma scientifica, con numeri e statistiche.

I dati sono contenuti in una lunga ricerca, cominciata più di dieci anni e pubblicata adesso su un’importante rivista scientifica, il Journal of Economic Behavior and Organization. Il paper è firmato da quattro economisti italiani, Marco Leonardi, dell’Università di Milano (oggi consigliere economico di Palazzo Chigi, lo studio partì in anni in cui ovviamente non ricopriva questo ruolo), Battista Severgnini (Copenaghen Business School), Rossella Mossucca (LearLab), Fabiano Schivardi (Luiss). Il senso di ciò che hanno scoperto viene riassunto così: «Nella ricerca studiamo i benefici delle connessioni politiche sulla performance aziendale analizzando gli effetti del sostegno originario a Silvio Berlusconi, un magnate televisivo che in tre mesi nel 1993 fondò un partito, vinse le elezioni e divenne primo ministro italiano. Abbiamo trovato che 101 aziende che hanno sostenuto Berlusconi fin dall’inizio hanno fatto meglio delle concorrenti, in termini delle vendite e occupazione, mentre gli effetti sulla produttività sono meno netti». I risultati sono stati confermati quando abbiamo confrontato la decisione di sostenere Berlusconi con gli esiti elettorali nelle elezioni italiane del 1921, che avevano somiglianze sia in termini di voto elettorale che di competizione ideologica. Abbiamo trovato anche prove suggestive che le performance superiori delle aziende supporter [di Berlusconi e Forza Italia] è più forte nei settori ad alta intensità pubblicitaria».

I maggiori guadagni sono stimati dagli autori tra il 30 e il 50 per cento, nel periodo tra la discesa in campo e il 2001. La cosa interessante, ci spiega Battista Severgnini, uno degli autori, che insegna all’Università di Copenaghen, è che questi guadagni «sembrano essere avvenuti non attraverso favori diretti (che del resto sarebbero stati difficili eventualmente da quantificare, nda.), ma attraverso una forte spinta pubblicitaria che il mondo Fininvest ha garantito a chi stava con loro». Naturalmente è interessante capire quali fossero le 101 aziende che sostennero Berlusconi fin dall’inizio. La ricerca ovviamente non le nomina, ma spiega come sono state individuate. Primo: si è incluso chi finanziò direttamente Forza Italia o i suoi candidati al Senato. Secondo: sono state incluse anche le aziende i cui dirigenti espressero un endorsement esplicito a Berlusconi. Siamo venuti a sapere, in via informale, che alcuni dei supporter più importanti (e in maniera del tutto legittima) furono Pasta Divella, Rovagnati, San Pellegrino, aziende dai fatturati importanti. Ma anche tanta media e tantissima piccola impresa lombarda, specialmente brianzola.

 

Lo studio su Berlusconi, raccontano gli autori, nasce da una peculiarità quasi unica, nelle democrazie (almeno fino a Trump): l’aver congiunto in un unico fenomeno politico un grande imprenditore e un movimento politico interamente nuovo. Altrove (Donald Trump a parte) le due dimensioni non sono state connesse. Magari sono apparse separatamente o, quando si sono legate insieme impresa e politica (come nel caso del M5S e della Casaleggio associati), l’impresa era una piccola srl – altra notevole curiosità, che meriterebbe un futuro studio quantitativo. «Il fatto che l’Italia sia una democrazia e che Berlusconi sia un imprenditore nel settore dei media lo rende diverso dai casi precedentemente considerati in letteratura, e può offrire nuovi spunti sui recenti fenomeni politici basati su una vittoria di un imprenditore, o di un movimento politico innovativo», scrive lo studio: «Come negli Stati Uniti, dove un altro magnate, Donald J. Trump, è diventato presidente nel 2017; in Francia, con il successo del nuovissimo partito di Emmanuel Macron, La République En Marche!, nel 2017; o ancora in Italia, dove ha vinto le elezioni il partito Movimento Cinque Stelle fondato da un comico nel 2018; in Polonia, dove il partito creato negli anni duemila, “Diritto e Giustizia”, ha vinto le elezioni in 2005 e 2015, o in Ucraina, dove Volodymyr Zelensky, produttore televisivo e comico di successo, è stato eletto presidente nel 2019, a capo di un partito che prende il nome dal suo programma televisivo Sluha Narodu (Servo del popolo)». Sostenere il potere, nei media come in economia, ha pagato. Ci sarà tempo – dopo Berlusconi che forse fu la premessa di tutto – per studiare il potere degli anni del populismo conclamato in Italia.

Sorgente: Stare col potere paga: così 101 aziende italiane guadagnarono il 50 per cento in più delle rivali per aver sostenuto il Berlusconi della “discesa in campo” – La Stampa

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