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In un’assemblea pubblica di Potere al Popolo convocata al Parco Dora, tra skates sfreccianti e armonici movimenti di capoeira, si dibatte sul caso Embraco.

Angelo D’Orsi, candidato sindaco alle elezioni per il Comune di Torino, coglie l’occasione per tracciare qualche linea del suo programma, citando da valente professore Freud, Gramsci, Marx, Togliatti.

Introduce Massimo Vecchione, riferendosi alla seduta del 14 settembre in Consiglio Regionale del Piemonte, una «passerella istituzionale» dove è più volte risuonata la parola “Nidec” (multinazionale giapponese).

Una campagna elettorale per il sindaco deve «affrontare il declino industriale storico di quella che fu la capitale dell’industria». «L’ex Embraco non è stato un semplice caso di delocalizzazione ma un episodio in cui ha prevalso la logica del tornaconto finanziario rispetto alle scelte produttive».

Whirlpool decide di vendere la sua controllata brasiliana Embraco alla multinazionale giapponese Nidec. Si è trattato di un enorme affare finanziario in cambio del quale si chiede che restasse fuori la fabbrica di Riva di Chieri. Sarebbe stato necessario, a parere di Vecchione, che il governo si fosse mosso per minacciare l’esproprio e la nazionalizzazione della fabbrica.

«La gestione sindacale di quella vertenza avrebbe dovuto impedire alla Whirlpool di portare via macchinari e impianti». Emerge la necessità di unire le vertenze in una fase in cui «lo sblocco dei licenziamenti rischia di caratterizzare una situazione ancora più disastrosa».

Emmanuel Moro, lavoratore Embraco, parla di «istituzioni sociali che fanno due passi indietro e demandano al libero mercato». Legge l’art. 36 Cost. sui diritti del lavoratore, il medesimo impugnato in una sentenza del Tribunale di Milano per considerare illegittimo un contratto nazionale Servizi Fiduciari, siglato nel 2018 da CGIL e CISL. Il caso Embraco è «una truffa che ha visto in correità le istituzioni».

La Ventures, la società che rileva la Embraco nel 2018, «non era una società che poteva dare garanzie, si è dimostrata un imbroglio», portandola al fallimento nel 2020. Si attende che il procuratore aggiunto di Torino, Marco Gianoglio, istruisca un processo penale per il reato di distrazione di fondi.

Si ipotizza la complicità di Ranstad, un’importante multinazionale delle risorse umane che ha trovato questa “Start up” creata due giorni prima di firmare l’accordo. Moro è sfiduciato, «è impossibile che riaprano le fabbriche».

Eppure cita la disobbedienza civile, la figura di Gandhi. Taccuino alla mano, si presenta al palchetto Christian Cuccu, lavoratore ex Ilva, denunciando «il degrado di qualità della vita lavorativa, alle continue crisi e conseguenti ristrutturazioni segue un impoverimento remunerativo e di sicurezza sul posto di lavoro». La perdita di posti di lavoro «non è modernità ma povertà, lo Stato e le parti sociali non hanno vigilato».

Giorgio Cremaschi, coordinamento nazionale di Potere al Popolo, sottolinea «l’abitudine a considerare lo sfruttamento estremo del lavoro come un punto inevitabile del sistema». Sin dalla prima notizia dell’accordo giunta il primo marzo 2018 di fronte ai cancelli della fabbrica, aveva capito che si trattasse di una truffa ai danni dei lavoratori.

Cremaschi se la prende anche con chi propone la “formazione” ai lavoratori in esubero, «se non trovi lavoro è perché siamo ignoranti!». Eppure centinaia di laureati devono espatriare perché non trovano lavoro.

Ricorda che l’11 ottobre ci sarà uno sciopero che raduna tutte le sigle del sindacalismo conflittuale. Angelo D’Orsi ringrazia per le «parole dure e dolorose», per «un piccolo bagno in una situazione drammatica in cui tanti lavoratori stanno vivendo». Si sono inventati «i fallimentatori di professione che comprano le aziende per chiuderle».

Cita Yourcenar quanto alla “lotta vana”, di cui si fa portavoce, «anche le lotte vane bisogna farle!». La sua “grosse koalition” costituita oltre che da Potere al Popolo, anche da Sinistra in Comune (Rifondazione comunista, Sinistra anticapitalista, Dem-A, Torino ecosolidale), Partito comunista italiano ingaggia «una battaglia per Torino».

La situazione di profondissima crisi si è originata dalla metà degli anni Ottanta. «Appendino si è comodamente adagiata nel “sistema Torino”», che comprende i campi economico, finanziario, politico, istituzionale. «Torino conserva una forte presenza di contestazione sociale anche nell’ambito della Diocesi».

Il “sistema Torino” ha provato a reagire alla crisi, alla deindustrializzazione, alla fuga degli Agnelli (D’Orsi cita Togliatti, “e soli ci ha lasciato”), all’arrivo di Marchionne, di Elkann. Stellantis tiene la città sotto ricatto permanente, minacciando di “far fagotto”.

Le amministrazioni via via succedutesi hanno accettato come finita la fase della manifattura («la produzione industriale appartiene al mondo da abbandonare») per sposare «la logica dei grandi eventi, delle grandi opere».

Le Olimpiadi invernali del 2006 costituiscono «la grande madre del debito», l’amministrazione comunale si è consegnata alle fondazioni bancarie, si sono ridotti i servizi sociali alla cittadinanza. Si è escogitata l’idea di Torino come città turistica, “da cartolina” come Firenze e Venezia.

Si rischia di «buttare a mare una tradizione, un “know how”», il sapere tecnologico è anche sapere culturale, sociale. D’Orsi cita Luigi Einaudi, un liberal conservatore che affermava come la lotta di classe fosse un motore di progresso, non da imbrigliare.

«Torino non deve lasciar cadere la tradizione del sistema meccanico, metallurgico, l’automobile», pur nella necessaria innovazione, «l’ecosostenibilità non è un’opzione, ma un dovere, una necessità inderogabile».

Il candidato sindaco inorridisce quando sente nei dibattiti intendere la cultura come «un fattore attrattivo di turismo, questa sarebbe la negazione della cultura». La cultura per Gramsci è necessità, obbligo.

Gli effetti che producono i grandi eventi (si pensi ai campionati di tennis) recano benefici per una ristretta parte della popolazione, e un peso economico rilevante sulla maggioranza.

Freud si disperava all’idea che si compiono sempre gli stessi errori, «non abbiamo imparato nulla dalla pandemia!». D’Orsi si chiede che fine farà il Maria Adelaide, un Ospedale di eccellenza nel suo settore, destinato probabilmente a fungere da studentato per le Universiadi, per poi divenire in logica di “gentrification” sede di appartamenti di lusso.

Il Parco della Salute riceve critiche anche da operatori sanitari e medici, dato che si prevede la perdita di un 25 per cento di posti letto e una diminuzione di personale. «I media ci ignorano quasi completamente» riservando spazio ai due “competitors”. Damilano non si è presentato di fronte alla Porta 2 di Mirafiori (10 settembre) affermando di non aver tempo da perdere e tuttavia riuscendo a comparire nel titolo dell’articolo su “La Stampa”.

Le quaranta pagine del programma di Angelo D’Orsi sono frutto di un faticoso lavorìo di limatura, riga per riga. «Ciascuno di voi sia candidato sindaco accanto a me, abbiamo bisogno di tutti!».

Sorgente: Il declino industriale nascosto nelle elezioni comunali a Torino – Contropiano

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