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Editoriale del numero 8/21 di Limes, Lezioni afghane.

1. L’Italia si crede sulla Luna. È ora di rimettere piede in terra. Se possibile, insieme ad altri satelliti europei dell’America, anch’essi sufficientemente lunari. Eccoci invece impegnati, noi veteroeuropei e financo gli inglesi, nel fare le pulci a Washington dopo il disastro di Kabul. Pontificando dall’alto dei cieli dello Spirito assoluto, con cui ci identifichiamo di diritto da quando Hegel l’avvistò a Jena. Solleciti della sorte delle afghane genti, purché non bussino alla nostra porta (carta 1). La fine della storia siamo noi.


In Afghanistan gli Stati Uniti hanno sbagliato lo sbagliabile e stanno pagando un prezzo reputazionale alto per la disfatta, quanto è presto per sentenziare (carta a colori 1). Ma noi consoci atlantici, che nella missione Nato ci siamo autoinvitati per certificare agli americani la nostra esistenza in vita – così aiutandoli a insabbiarci tutti nell’impresa «controterroristica» non sappiamo se più fatua o ipocrita – non abbiamo lezioni da impartire. Dopo vent’anni di pseudo-coalizione, dove ognuno ha fatto gli affari suoi, con gli europei che fingevano di combattere e gli americani che fingevano di ascoltarli, nessuno può ergersi ad autorità etica. Noi meno di altri.


È tempo di riflettere invece sulla nostra sconfitta strategica. Più grave di quella americana. Perché gli Stati Uniti poggiano su una rendita geopolitica imponente, malgrado si impegnino con ammirevole acribia a segarne le basi. Noi invece dipendiamo per la nostra sicurezza dal capocordata. Non possiamo asserragliarci nella fortezza nordamericana protetta dalle immensità di Pacifico e Atlantico. Siamo medioceanici, non oceanici. Punti di appoggio nei circuiti delle potenze. Gradevole area ristoro. Il Belpaese è medaglia d’oro anche in questa disciplina. In ciò equamente apprezzato da amici e nemici, più terroristi e guerriglieri vari.


Invece l’America, che non è organizzazione umanitaria né ente morale, si occupa (male, al momento) di sé stessa. Dei soci atlantici, solo nel tempo libero. Oggi davvero minimo. Se nella discordia americana residua un Washington consensus, consiste nel bollarci futili scocciatori. La differenza è fra chi lo dice, chi lo sussurra e chi per educazione se lo tiene per sé. Messi alle strette da una minaccia esistenziale, i decisori americani ci scaricherebbero come zavorra, senza nemmeno provare a usarci per l’ultima volta. Esattamente come faremmo noi se fossimo al posto loro, ove mai riatterrassimo sul pianeta di origine. Prospettiva lontana per gli stralunati che siamo.


Nell’Europa ideale che esiste solo nelle fantasie degli europeisti, il punto di ripartenza sarebbe un esercizio di ripensamento strategico fra tutti i soci veterocontinentali della Nato, da riportare in corale consonanza al Numero Uno. Così non può essere perché nell’Europa reale ognuno è confitto nel proprio legittimo interesse nazionale, o in quel che spaccia per tale. Se imperativo dell’ora è recuperare il principio di realtà per provare a contare qualcosa in questo mondo e non nelle siderali orbite dei princìpi ultimi e primi, conviene che ciascun soggetto riesamini il suo modo d’intendersi atlantico. Per poi stabilire a un tavolo di adulti europei e nordamericani se questa Alleanza Atlantica fa ancora senso oppure no. Nel secondo caso, come riformarla. O superarla. Sapendo che la prima e ultima parola spetterà agli Stati Uniti. Gli americani l’hanno inventata e loro chiuderanno questo colossale deposito di mezzi quando lo scopriranno definitivamente senza scop…

continua…

Sorgente: Dalla Luna alla Terra via mare – Limes

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