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(pressreader.com) – di Luciano Cerasa, Patrizia De Rubertis e Roberto Rotunno – Il Fatto Quotidiano – Era – o almeno così si è letto un po’ ovunque sulla grande stampa – il fiore all’occhiello del Piano nazionale di ripresa (Pnrr) del governo Draghi. Eppure il capitolo “riforme” sembra essersi impantanato. Al netto della Giustizia, al centro di uno scontro il cui esito ancora non è chiaro, sono almeno tre quelle fondamentali (“abilitanti”, per usare il gergo del Pnrr) che slitteranno a fine estate o in autunno e che comunque rischiano di uscire assai ridimensionate rispetto alle aspettative sollevate: fisco, ammortizzatori sociali e legge sulla Concorrenza. Per tutte e tre, il governo si era impegnato a consegnare un testo al Parlamento entro la fine di luglio, e invece, vuoi per la mancanza di fondi, vuoi per il disaccordo all’interno dell’ampissima maggioranza che regge l’esecutivo, il cronoprogramma è slittato. Le riforme fanno parte di “un intervento epocale, per cui forse non vi sarà più il tempo per porvi rimedio”, ha spiegato Draghi nel suo discorso di presentazione del Piano alla Camera. Ora che inizia il “semestre bianco”, e le Camere non potranno essere sciolte, il lavoro si complicherà ancora. Ecco lo stato dell’arte.Lavoro È una “riformina”.Ma i fondi non si trovano. Il rinvio all’autunno della riforma degli ammortizzatori sociali rischia di essere doloroso per lavoratori e disoccupati. L’intervento dovrebbe estendere la protezione della cassa integrazione a tutti i settori e a tutti i datori, ma anche rendere più generosi e inclusivi i sussidi di disoccupazione. Promesso entro il 31 luglio, ancora non esiste un testo ufficiale presentato al tavolo con sindacati e Confindustria. Ormai è scontato che sarà rimandato a ottobre, con la legge di Bilancio. Nel frattempo, il primo luglio sono stati sbloccati i licenziamenti e sono partite le prime ristrutturazioni. Per la verità, quello di questi giorni è il secondo posticipo della riforma. Il governo Conte-2 era pronto a presentare un impianto già a fine gennaio, ma poi c’è stata la fuoriuscita di Italia Viva, la nascita dell’esecutivo Draghi e l’arrivo al ministero di Andrea Orlando al posto di Nunzia Catalfo che ha interrotto tutto. Ora, invece, il problema è dato dalle risorse, perché l’unica dote concessa è il miliardo e mezzo ottenuto con la cancellazione del cashback; troppo poco rispetto agli almeno 8 miliardi necessari per un sistema di tutele comunque annacquato rispetto all’ipotesi iniziale. Poi c’è il dilemma di chi deve pagare, con le aziende che si oppongono ad aumenti contributivi. L’esigenza di garantire la cassa integrazione a tutti è un’urgenza emersa soprattutto con la pandemia, quando tante attività hanno dovuto chiudere ma è stata necessaria la cassa in deroga per coprire soprattutto i dipendenti di piccole imprese e servizi.Fisco Tante idee (sbagliate)Ma senza copertura. Mario Draghi, nell’annunciare davanti al Senato il programma del governo sulle tasse era stato chiaro. Serve una riforma complessiva e profonda basata su due pilastri: ridurre il carico dell’Irpef mantenendo la progressività e la lotta all’evasione. “È un meccanismo complesso, le cui parti si legano l’una all’altra”, per questo, aveva scandito il premier, “non è una buona idea cambiare la tasse una alla volta”. L’Europa si attende tempi rapidi, ricordava il presidente del Consiglio che si era dato una scadenza precisa per la presentazione di una legge delega, il 31 luglio e un modello da imitare: “Faremo come la Danimarca”, filtrava da Palazzo Chigi, dove nel 2008 fu nominata una commissione di esperti che incontrò partiti politici e parti sociali e che solo dopo presentò una relazione in Parlamento. Draghi notava che “un intervento complessivo rende anche più difficile che specifici gruppi di pressione riescano a spingere il governo ad adottare misure scritte per avvantaggiarli”. Sono passati 5 mesi, l’annunciata Commissione di esperti non è stata convocata e in sostituzione si sono fatte avanti le Commissioni Finanze del Senato e della Camera, che hanno trasformato in un documento di indirizzo al governo le audizioni conoscitive condotte nel frattempo con parti sociali e cultori della materia. Nel testo si chiedono riduzioni di imposte per 2 punti di Pil, tra le quali spicca l’abolizione dell’Irap e la riduzione delle tasse sulle plusvalenze finanziarie. Il ministro dell’Economia, Daniele Franco, in una recente audizione, apparentemente ha recepito in pieno le richieste dei partiti, ma con un’avvertenza: non ci sono risorse stanziate e nulla sarà finanziato in deficit. Il Consiglio dei ministri per l’approvazione del ddl non è stato ancora convocato. Se ne riparla ad agosto o, più probabilmente, nella legge di Bilancio.Concorrenza Dall’Energia ai servizi: troppi i nodi divisiviDraghi l’aveva presentata come una delle riforme “imprescindibili per la ripartenza del Paese”. L’impianto parte dalle segnalazioni dell’Antitrust e va dai farmaci al mercato libero dell’e

Sorgente: Le riforme dei “migliori” restano al palo – infosannio

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