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Non serviva questo caso per prendere atto che, nella società della comunicazione, l’agenda setting della politica è rigidamente mediatica e dunque un fatto è tale solo se è visibile nel teatro delle immagini e delle ombre proiettate nella coscienza collettiva.

Come nella filosofia di George Berkeley – esse est percipi – le percezioni non sono l’impronta della realtà sulla nostra natura sensibile, ma la realtà stessa delle cose, senza alcuna estensione esterna al nostro pensiero, allo stesso modo nella politica a rimorchio della comunicazione-spettacolo i problemi iniziano e finiscono secondo la gerarchia delle (chiamiamole così) notizie, perché non esiste realtà politica fuori dalla notizia e dalla sua performance teleguidata.

Così può avvenire che si parli per mesi e si giochino fortune e disgrazie politiche su problemi che semplicemente non esistono, ma vengono fatti esistere e inculcati nella testa di tutti a forza di botte mediatiche. E può avvenire allo stesso modo il contrario, in modo travolgente in regimi non democratici, ma anche in democrazie particolarmente disgraziate come quella italiana, dove di fatto non esiste una classe dirigente che si senta moralmente responsabile degli effetti politicamente nucleari di questo fenomeno.

Dunque, oggi, il degrado e la violenza delle carceri italiane è concentrato nei video shock della mattanza di Santa Maria Capua Vetere e da destra e da sinistra si prova a cavalcare più o meno esibizionisticamente la notizia, evitando accuratamente di uscire dai suoi invalicabili confini. Il negazionismo di destra e lo scandalismo di sinistra, il pregiudiziale innocentismo o colpevolismo verso “guardie” e “detenuti” (come se un’indagine penale scrutinasse meriti e demeriti di categorie e non responsabilità di individui) e la compunzione dei vertici istituzionali nel commentare le immagini e scansarne gli effetti appartengono tutti a un repertorio di atteggiamenti sostanzialmente parassitari: come stare sulla notizia per trarne qualche vantaggio o senza averne troppo danno, in attesa che la notizia e quindi la realtà del fatto si dissolva.

La verità non mediatica e non mediatizzabile è invece sostanzialmente diversa da quella imposta dalla cronaca giudiziaria. Non è, cioè, quella di un caso di gravissima violazione delle leggi e della Costituzione, ma della deliberata esclusione della galera dal perimetro dello Stato di diritto: esclusione che sta ai fatti di Santa Maria Capua Vetere come una causa sta a un effetto e che è stata consacrata da una serie di scelte politiche, legislative e amministrative rigorosamente bipartisan, malgrado l’evidenza della assoluta non compatibilità delle carceri italiane con la loro funzione costituzionale.

Ad approfondire la questione, che le violenze nel carcere campano rischiano di occultare, anziché illuminare, si dovrebbe concludere che la vita interna della galera (con livelli più o meno efferati di ferocia) rispecchia perfettamente la funzione esterna della detenzione non come forma di esecuzione della pena, ma come mezzo di esclusione del reprobo dai benefici della vita civile. La galera è nel patto socialmente condiviso la discarica dell’ostracismo e dell’odio politico, in cui stoccare come rifiuti tossici persone che nella percezione comune sono totalmente disumanizzate (e quindi prive di diritti umani), pure concrezioni o simulacri di un male da cui difendersi a ogni costo: in primo luogo, ovviamente, “buttando la chiave”. Evasori, corruttori, ladri, scafisti, criminali comuni e mafiosi, trafficanti di droga, pedofili, terroristi…

L’abnormità socio-giuridica della galera è alla base della sua strutturale e diffusa mostruosità, cronicizzata da una diffusa accettazione sociale. Che la galera diventi incubatore di illegalità e di violenze criminali da parte di detenuti o “detentori” è implicito nel rifiuto – ripeto: assolutamente bipartisan – di riconoscere nella legalizzazione degli istituti di pena una prepotente urgenza politico-costituzionale.

Anche la discussione, che pure va fatta, sulla diffusione di una subcultura della violenza e dell’oltraggio nella polizia penitenziaria dovrebbe riguardare la natura strutturale e funzionale della galera per quello che è e che invece dovrebbe essere. Ha ben poco senso chiedersi quante e dove siano le “mele marce” in un cesto che, di suo, produce marciume.

È troppo semplice prendersela con Salvini e con la sua difesa delle violenze in divisa, senza ammettere che le carceri italiane sono ogni minuto, di ogni giorno, di ogni anno delle vere e proprie istituzioni fuorilegge e che non c’è praticamente politico (tranne i radicali) che non abbia giustificato in qualche modo la necessità che la galera rimanga un buco nero dei diritti umani.

Sorgente: Le carceri italiane sono estranee a tutti i principi dello Stato di diritto – Linkiesta.it

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