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Haiti cherie

L’assassinio del presidente Jovenel Moïse, che governava in modo autoritario e dispotico, dimostra la difficoltà di Haiti a diventare una democrazia che comprenda le persone che vivono nella miseria, di cui da secoli non si occupa nessuno

«Koupe tèt, boule kay!» è l’apoftegma della rivoluzione giacobina nera ad Haiti. Questo motto esortava gli schiavi insorti a tagliar teste e bruciare le case dei coloni francesi affinché fossero sradicati per sempre dall’isola. In seguito Haiti (Ayiti: terra irta) proclamò la Repubblica (1804) e fu laboratorio per tutti i movimenti di liberazione nati nelle società schiavili e razziste delle Americhe e nel mondo.

Sono passati oltre due secoli da allora, e Haiti è diventata nel frattempo il paese più povero delle Americhe. Adesso, in queste ore, vive una crisi politica, sociale e umanitaria drammatica. Il presidente Jovenel Moïse e la moglie sono stati assassinati nella notte tra martedì 6 e mercoledì 7 luglio nella loro residenza privata a Port-au-Prince da un commando paramilitare che ha fatto irruzione nella casa. Le strade della capitale, il giorno dopo, sono apparentemente calme e svuotate. La gente non esce di casa come usa all’indomani di uno dei molti colpi di Stato avvenuti qui negli ultimi decenni. La polizia e le forze di sicurezza che dovrebbero garantire l’ordine pubblico, latitano.

Jovenel Moïse, 53 anni, imprenditore e oligarca era stato eletto presidente dal 2017 e il suo mandato era scaduto nel febbraio 2021 ma aveva rifiutato di dimettersi ed era rimasto nelle sue funzioni in attesa delle nuove elezioni rimandate a causa della pandemia. Proprio lunedì scorso aveva nominato un nuovo primo Ministro, l’ennesimo, il settimo in 4 anni. Dal suo arrivo al potere, la debolezza economica del paese si è aggravata, la corruzione ha continuato a dilagare, la violenza e la repressione contro i quartieri popolari s’è fatta sistematica. Questa deriva autoritaria e il banditismo di Stato, ossia l’uso spregiudicato delle bande armate per reprimere i settori popolari che protestano ogni giorno nelle strade della capitale, ha rivelato l’esecutivo come autoritario e dispotico. Le aspirazioni autocratiche, i massacri nei quartieri popolari, gli arresti, i decreti incostituzionali, le nomine e le revoche intempestive, i rabbiosi attacchi ai giornalisti e a tutti gli oppositori hanno fatto il resto. Il presidente Moïse era accusato da larga parte della società civile e dell’opposizione politica di inadeguatezza e di non far fronte alla crisi drammatica del paese. Rivelando le sue tendenze dittatoriali aveva voluto un referendum per mettere mano alla Costituzione e usurpare il potere abolendo il Senato e moltiplicando i mandati presidenziali. Niente di tutto questo, l’assassinio politico ha tolto di scena il suo protagonista.

Jovenel Moïse è stato vittima della sua politica e del suo modo di dirigere il paese. Ha governato esclusivamente per decreto e  sostituito il primo ministro ogni semestre; ha ignorato tutte le manifestazioni di protesta e non aveva nessun controllo sulle gang criminali. Facendo leva sulla disfunzionalità della Corte di Cassazione e sull’imputazione del Senato in alcuni dei suoi membri, Moïse ha approfittato della paralisi delle istituzioni che ha permesso al Presidente della repubblica di avere tra le mani l’essenziale delle attribuzioni là dove dirigeva, tutto da solo, senza rendere conto a nessuno.

La sua morte violenta dimostra la difficoltà di Haiti a diventare una democrazia e a costruire una comunità politica che comprenda la moltitudine di persone che vivono nella miseria e di cui non si occupa nessuno da secoli, né le élites transnazionali né le élites possidenti. Il crimine politico ha dunque un ruolo nella storia di Haiti fin dal suo primo presidente Dessalines che fu ucciso nel 1806, senza dimenticare le altre esecuzioni sommarie avvenute nella storia repubblicana. Spesso, a episodi regolari, si è vista bene la penetrazione della violenza come risorsa nella politica, oppure come mezzo per accedere al potere dei tanti re, imperatori, presidenti, dittatori che si sono succeduti fin qui. E, oggi come allora, non è da escludere l’interventismo statunitense e della comunità internazionale che dovranno trovare una proposta efficace perché Haiti si trova in una crisi istituzionale da cui non può uscire da sola.

Ci vorranno soluzioni particolari perché Haiti è una terra molto specifica e bisognerebbe prendere coscienza di questa realtà molto singolare e che bisogna inserire in una grammatica politica adatta. Quasi sempre la Comunità internazionale impone, sbagliando, le sue soluzioni. Questa è l’occasione di una concertazione con le parti haitiane per arrivare a una soluzione d’origine locale. Ma, da quando sono sbarcati la prima volta nel 1914, gli americani decidono quasi per intero le sorti di Haiti (il cortile di casa) che interessa loro per motivi strategici ed economici. Dopo l’occupazione militare di inizio Novecento, l’ambasciata Usa a Port-au-Prince è stata determinante nell’ascesa e caduta di tutti coloro che si sono succeduti al potere nell’ultimo secolo: dittatori, militari golpisti, presidenti eletti e presidenti de facto.

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Sorgente: Haiti cherie – Jacobin Italia

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