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Mancano ispettori per la sicurezza

di Sergio Rizzo

Cinque morti sul lavoro in 24 ore, 185 in tre mesi: almeno due al giorno. La rabbia è tanta. E monta ancor più dando un’occhiata alle carte d’identità di alcuni di loro. Luana, stritolata a Prato da un macchinario tessile, aveva solo 22 anni. Samuele, ucciso dall’esplosione di un capannone a Gubbio, appena 19 e tutta la vita davanti. Come Luana, e come quel ragazzo di 23 anni che quattro giorni prima era stato travolto da un’impalcatura a Montebelluna, in provincia di Treviso. Ma cos’hanno di diverso queste morti rispetto a quelle, altrettanto dolorose e terribili degli altri morti sul lavoro? Nulla, a parte il fatto che i morti sono giovani, anzi giovanissimi. Vale a dire la parte più fragile e indifesa della società, che non ha garanzie, che non avrà (forse) la pensione, che non trova lavoro e quando lo trova rischia di morire. Quella parte che invece andrebbe più tutelata, perché rappresenta il nostro futuro. Quella parte della società, bisogna aggiungere, che ha pure più sofferto per la pandemia.

E qui non ci si può accontentare delle solite frasi di circostanza, del cordoglio delle autorità e del ministro del Lavoro di turno, o di uno sciopero di protesta di quattro ore proclamato dal sindacato. Servono riposte. Risposte serie e immediate alla domanda: lo Stato italiano che fa, per evitare che il diritto al lavoro sancito dalla Costituzione sia un diritto per modo di dire e a rischio della vita? Che cosa fa, oltre ad aver regolamentato minuziosamente (e in certi casi anche in modo poco sensato) la normativa per la sicurezza sui posti di lavoro, senza poi curarsi che effettivamente quelle norme ossessive vengano applicate? Chi e come controlla?

Ci sono gli ispettori, vero. Ma nel 2015 si è deciso di creare l’Ispettorato nazionale del lavoro mettendo insieme gli ispettorati del ministero del Lavoro, dell’Inps e dell’Inail, che ha competenze sulla sicurezza. Forse l’idea era quella di rendere più efficiente il sistema, ma il risultato è stato un pasticcio che anziché facilitare i controlli di ogni genere li ha complicati.

Non bastasse, a leggere una interpellanza presentata il 21 maggio dello scorso anno dal deputato di +Europa Riccardo Magi alla ministra del Lavoro protempore Nunzia Catalfo è impossibile nascondere lo sconcerto. I dati contenuti nel “Rapporto annuale dell’attività in materia di vigilanza e legislazione sociale” del 2019, sfornato dal medesimo Ispettorato nazionale, dicono che il personale ispettivo “risulta essere pari a 2.561 unità”. Ma gli ispettori che esercitano l’attività ispettiva a tempo pieno non sono più di 1.550, considerando che un migliaio di loro viene spesso impiegato in attività burocratiche negli uffici. Per non parlare dell’età media del personale, sempre più elevata nella pubblica amministrazione. “A ciò si aggiunga”, ricorda Magi, “che il personale specializzato nello svolgimento di ispezioni in materia di salute e sicurezza, i cosiddetti ispettori tecnici, si è ridotto ormai a sole 222 unità in tutta Italia”. Poco più di 200 ispettori per controllare la sicurezza in qualche milione di aziende: semplicemente ridicolo.

La situazione, tuttavia, è ben nota anche al ministero del Lavoro. E infatti nell’agosto del 2019 è stato bandito un concorso per 619 ispettori del lavoro più 131 funzionari. Non la soluzione del problema, ma almeno un passo avanti. Peccato soltanto che nella primavera del 2020 fosse ancora tutto fermo, complice anche l’epidemia di coronavirus. Vista la situazione, il decreto rilancio varato dal governo Conte bis durante la prima ondata della pandemia aveva previsto una corsia preferenziale per il concorso degli ispettori del lavoro. Però, sottolinea l’interpellanza, misteriosamente scomparsa nella stesura finale del provvedimento, a differenza delle corsie preferenziali fissate per i concorsi ai ministeri dell’Economia e della Giustizia.

Difficile dire se le assunzioni di 619 ispettori avrebbero potuto cambiare il corso delle cose. Potevano però essere un segnale. Il segnale che lo Stato c’è e non si rassegna a un massacro indegno di un Paese civile, che va avanti da troppo tempo nell’ipocrisia generale.
Dal governo di Mario Draghi ora è lecito aspettarsi le necessarie risposte. Di sicuro, quella che Magi aspettava dal ministero del Lavoro dopo la sua denuncia non è mai arrivata.

Sorgente: Lavoro fuori controllo | Rep