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Il rapimento di Alessandro Sandrini in Siria doveva essere una farsa. Ma l’uomo finì poi nelle mani di veri terroristi. Sospetti anche sul caso Zanotti

Erano quattro amici al bar che volevano fare i soldi. Tutti con piccole attività imprenditoriali dagli scarsi profitti e con qualche giro criminale di basso profilo. E dalla provincia bresciana hanno deciso di tentare il colpo grosso: entrare nel business dei rapimenti jihadisti in Siria. Sono nati così i due sequestri più strampalati della storia recente, quelli che hanno spinto Alessandro Sandrini e Sergio Zanotti ad accettare di recitare una simulazione o di portar a termine un affare parallelo, salvo poi finire nelle mani dei veri jihadisti per ben tre anni.

La procura di Roma ha chiuso il cerchio e arrestato per sequestro a scopo di terrorismo l’italiano Alberto Zanini, 54enne nato in Val Trompia, e due albanesi Fredi Frrokaj e Olsi Mitraj. I tre abitano a pochi chilometri di distanza attorno a Brescia e da lì, secondo l’accusa, hanno organizzato il complotto criminale. Potevano contare su altri complici in Italia, Turchia e Siria.  Gli indagati sono complessivamente dieci, ma per gli inquirenti molti restano ancora da identificare.

 

 

È maggio 2016 e in Siria la guerra civile imperversa quando l’ex moglie di Zanotti ne denuncia la scomparsa. Sostiene che da oltre un mese sia partito per la Turchia, proprio vicino al confine, ma di lui si siano perse le sue tracce. Poco dopo, a novembre, compare in un video: è inginocchiato, alle spalle un uomo incappucciato che imbraccia un mitra.  Dice di essere prigioniero da sette mesi in Siria e chiede al governo di intervenire per la sua liberazione. Nel maggio successivo appare di nuovo, sempre in ginocchio con alle spalle due uomini armati vestiti di nero. “Oggi è il primo maggio. Mi chiamo Zanotti Sergio. Questo è il secondo richiamo che mi lasciano fare”.

Dopo il rilascio racconterà di essere partito per acquistare dinari iracheni del 1982 da rivendere “perché ci sono persone che sono interessate a queste monete, create da Saddam Hussein in Svizzera, un pezzo da 25 dinari valeva 100 dollari” e invece s’è ritrovato ad Aleppo nelle mani dei terroristi.

Nel frattempo però i familiari di Zanotti ricevono somme di denaro da Frrokaj. Per gli inquirenti è lui “il motore delle attività, il trait d’union tra la compagine bresciana e la struttura in Turchia. Si cura del ‘mantenimento delle persone legate affettivamente ai sequestrati'”. Zanini e Mitraj avrebbero invece il compito di individuare i candidati, organizzargli il viaggio, compreso il trasporto all’aeroporto.

Il gruppo aveva programmato un altro colpo, cercando di mandare in Turchia un imprenditore bresciano. Ma all’ultimo momento l’uomo ci ha ripensato e si è finto malato, lasciando i complici ad attenderlo invano ad Orio al Serio. A quel punto sono corsi ai ripari reclutando Sandrini, che era imputato per un paio di rapine e aveva un disperato bisogno di quattrini. Anche lui è stato messo su un volo per l’ultima città turca prima del confine siriano ed è sparito nel vortice della guerra.

Lui, secondo i magistrati, sa di andare incontro a un sequestro, ma pensa che sia una sorta di villeggiatura da cui uscirà con un bel gruzzolo. Lo conferma un teste: “Prima di partire Sandrini mi aveva garantito che appena rientrato in Italia…100mila euro sarebbero stati miei se gli avessi mantenuto il gioco con la sua famiglia, i giornali e le forze dell’ordine”.

 

 

Sandrini dà segnali di vita il 17 ottobre con una telefonata: “Ciao mamma, è un anno che manco da casa e so che mi stai cercando. Non so dove sono, mi hanno sequestrato. Ti prego aiutami”. Il 3 dicembre richiama: “Vogliono i soldi, qui non scherzano”. Tre giorni prima di Natale incalza: “Sono in una stanza tre metri per tre” e con l’anno nuovo lo sfogo: “Lo Stato italiano non sta facendo nulla. Mi vogliono far morire qui”.

Dalle telefonate si passa ai video. Sandrini indossa una tuta arancione – come spesso accade nelle immagini che precedono l’esecuzione – alle spalle uomini armati. “Sono due anni che sono in carcere e non ce la faccio più, sono stanco dentro. Chiedo all’Italia di chiudere questa situazione in tempi veloci perché hanno detto chiaramente che sono stufi, che mi uccideranno se la cosa non si risolve in tempi brevi e io chiedo di aiutarmi”.

Secondo l’accusa Zanini e Mitraj sarebbero coinvolti anche nella diffusione di questi video. E ora Alessandro Sandrini è indagato per simulazione di sequestro e per aver cercato di ottenere un profitto, ricevuto solo in parte, tramite delle persone a lui vicine. Un altro guaio giudiziario che si aggiunge alle condanne per rapina diventate esecutive dopo il suo rilascio.

 

 

La ricostruzione è stata realizzata dal pm Sergio Colaiocco con i detective di Sco e Ros. L’obiettivo principale dell’organizzazione era incassare i soldi che spesso lo Stato italiano paga per ottenere la liberazione dei connazionali finiti nelle mani dei terroristi. Per questo, tramite i loro contatti in Turchia e soprattutto con la mediazione di un cittadino siriano, stando alle indagini avevano già previsto la consegna degli ostaggi ai jihadisti. Due formazioni diverse, identificate dalla procura di Roma. La prima è il Turkestan Islamic Part: una formazione composta in maggioranza da uiguri, la minoranza mussulmana cinese, che aveva combattuto con Osama Bin Laden in Afghanistan e poi ripreso vita nel nord della Siria. Una sigla che ha gestito il rapimento di un giornalista giapponese, rilasciato pare con la mediazione del Qatar. La seconda è Jund Al Aqsa, una compagine vicina ad Al Qaeda ma che ha realizzato azioni assieme all’Isis. Quando i due italiani finiscono nelle loro prigioni, tutti questi gruppi sono impegnati in una lotta per avere la supremazia all’interno della galassia fondamentalista che sfida il regime di Assad. Per loro potere sbandierare la cattura di uno straniero è, più che una forma di finanziamento, un simbolo di potenza per imporsi rispetto ai rivali.

 

 

Per questo motivo, in genere, questi gruppi pagano una somma alle bande criminali che gli forniscono ostaggi occidentali: il che potrebbe avere rappresentato un primo guadagno per la gang bresciana, fornendogli il denaro usato anche per sostenere i problemi economici dei familiari. Poi però i “quattro amici al bar” si erano dati da fare anche per spingere il governo italiano ad intervenire: avevano diffuso video e appelli dei rapiti, mirando ad ottenere la sensibilizzazione dei media.

 

 

Negli atti dell’indagine, stando alle prime indiscrezioni, non si parla di riscatti pagati dalle nostre autorità. L’ipotesi è che le formazioni jihadiste li abbiano rilasciati dopo avere raggiunto i loro obiettivi “politici” nella competizione interna al fronte anti-Assad. Tanti punti da chiarire in una storia che oscilla tra la farsa e la tragedia.

 

Sorgente: Sequestri falsi in Siria, tra cui quello di Sandrini: tre arresti a Roma – la Repubblica

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