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Dopo il colpo di stato. I militari non parlano più di elezioni e cooptano piccoli partiti etnici per legittimarsi

Emanuele Giordana

I militari birmani minacciano il giro di vite, smettono di promettere elezioni e inaspriscono il coprifuoco mentre cooptano piccoli partiti etnici e tentano di autolegittimarsi. È la reazione dei golpisti a quanto avviene da venerdì nel Paese.

Già dalle prime ora di ieri mattina infatti, Yangon e altre città del Myanmar – da Mandalay a Naypyidaw – hanno cominciato a vedere scendere la gente nelle strade per il terzo giorno consecutivo. Accompagnata dall’ormai rituale frastuono di pentole e lattine, forma di protesta non violenta accompagnata da drappi e camice rosse appese alle finestre (il colore della Lega di Aung San Suu Kyi), la gente ha cominciato a raccogliersi in cortei semi spontanei e semi organizzati: studenti, medici, insegnanti, ragazzi e ragazze, giovani e anziani e ormai anche monaci.

INIZIATE A SPEZZONI qui e là, le manifestazioni di Yangon si sono poi riunite in un’unica concentrazione alla pagoda Sule, simbolo storico della ribellione ai militari dove sarebbero confluiti in circa 700mila. Ma è proprio lo spettro delle stragi del 2007 che grava ora sul Paese. «La Lega di Aung San Suu Kyi aveva invitato tutti a non vestirsi di rosso – spiega un testimone che chiede l’anonimato – per sottolineare che non si tratta di una protesta di partito ma dell’opposizione nazionale al golpe. Ovunque si chiede il ripristino della democrazia e il rilascio degli arrestati ma le sfumature sono interessanti: nello Stato del Kachin ad esempio si rivendicava uno Stato federale».

È UN RICHIAMO AL PROCESSO di pace tra centro e periferie, ora in crisi visto che, aggiunge la fonte, «il National Reconciliation and Peace Center del governo è stato sciolto e Tatmadaw (l’esercito) tratta ora con piccoli partiti regionali e persino con l’Arakhan Army (in guerra da due anni col governo ndr) per autolegittimarsi, come ha cercato di fare venerdì in un incontro col corpo diplomatico straniero dove i militari si sono presentati come i veri architetti di una transizione tradita dai brogli elettorali della Lega».

INTANTO IL GENERALE Min Aung Hlaing ha parlato al Paese dopo che la TV aveva annunciato un «giro di vite» per difendere la democrazia: un discorso vuoto ma da sottolineare su due punti: il detto e il non detto. Tra il detto c’è la promessa del rimpatrio dei Rohingya (non nominati come tali), a indicare forse che la responsabilità della loro cacciata dal Paese non è colpa dell’esercito. Poi il non detto: silenzio sulle proteste e sulle elezioni tra un anno come promesso: indicazione di un piano di lungo respiro. Intanto il coprifuoco è stato imposto dalle 8 di sera alle 4 del mattino in decine di township (divisione amministrativa) nelle diverse regioni mentre entra in vigore la famigerata legge 144, megafonata nei quartieri com’è uso fare per divulgare le decisioni governative: consente di sparare a vista in caso di violazioni gravi.

UN AVVERTIMENTO in una calma tesa, perché sinora polizia e militari si sono limitati a usare gli idranti a Naypydaw (anche se ci sarebbe stata a Mandalay una vittima delle squadracce).

SI TEME CHE IL TEMPO serva a spostare da una città all’altra i contingenti militari (cosa che sarebbe già in atto) per far si che le forze di sicurezza non si facciano scrupolo a sparare su gente che non conoscono. Ipotesi buia che ricorda appunto al tattica del 2007, quando le proteste furono guidate dai monaci. È anche vietato l’assembramento di più di 5 persone, manovra aiutata dalle restrizioni Covid. E situazione confusa, in cui i militari giocano anche la carta «guerra psicologica», con esperti di fakenews per tastare il terreno, intimidire, vedere le reazioni.

Forse anche per questo il blocco di Internet e dei social va e viene in un quadro anomalo dove non è chiaro quanto sia tattica, strategia, improvvisazione. Anche perché pesa la richiesta del Consiglio di sicurezza che chiede la liberazione di Aug San Suu Kyi, agli arresti per aver introdotto ricetrasmittenti illegalmente. Forse a giudizio tra una settimana.

Sorgente: Myanmar, la risposta golpista alle proteste: legge marziale | il manifesto

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