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di Fabrizio Roncone

Il professor Massimo Galli, per dire (non uno qualsiasi: ma il responsabile Malattie infettive del Sacco di Milano).

È ormai un anno che si collega da un luogo imprecisato, avvolto da una penombra cimiteriale, una stanza stretta piena di libri forse polverosi, sembra quasi di sentirne il tanfo e comunque lui da quella stanza davvero non esce, si cambia la cravatta ogni giorno, questo sì, ma non esce, nel nostro immaginario covidoso ormai vive segregato lì: e da lì prevede, esamina, annuncia, talvolta intervenendo addirittura in due programmi tivù contemporaneamente (pur di averlo come ospite, pensate, gli autori di un talk si sono umiliati al punto d’accontentarsi di qualche dichiarazione registrata).

Ieri era in diretta con Mattino 5, e dopo un po’ subito ci raggela, dice che il suo reparto è «invaso da nuove varianti» e che sì, anche lui è d’accordo sulla necessità di valutare un nuovo, rigoroso lockdown.

 

È una frase enorme, drammatica.

Ma quanti sono i suoi ricoverati?

Di quali varianti parla?

Perché poi c’è invece Fabrizio Pregliasco, un altro virologo dell’università Statale, anche lui autorevole, credibile, che condivide l’allarme di Galli ma suggerisce di non chiudere, teme che i nostri animi siano minati: «Socialmente — spiega — sarebbe un colpo troppo forte».

A chi dobbiamo credere?

Siamo chiusi in un frullatore.

Tivù, giornali, web, radio. Epidemiologi, virologi, anestesisti, entomologi esperti di zanzare, tutti diventati famosi con questa pandemia, tutti docenti, professoroni, quasi tutti luminari dei rispettivi campi, non si rassegnano all’idea di tornare nell’anonimato dei laboratori e delle corsie e ogni santo giorno ci fanno conoscere la loro opinione.

Domenica sera Gualtiero Ricciardi detto Walter, il consulente del ministero della Salute, invece di chiedere un incontro riservato a Roberto Speranza, il suo ministro — come prevede la grammatica elementare di certi rapporti — è andato da Fabio Fazio a dire che lui chiuderebbe il Paese per altre due, tre, quattro settimane o anche di più, inutile essere precisi, poi si vedrà. La sua ospitata rotola pericolosa nelle case, tutti hanno alzato il volume: scossi noi, ma scossone anche per il nuovo governo, che si prepara a chiedere la fiducia in Parlamento.

 

Va bene tutto questo?

Va bene quello che fa e dice Andrea Crisanti?

Il 20 novembre scorso se ne esce così, sempre con la sua aria un po’ rassegnata e un po’ pedagogica, tipo: io vi avverto, sono cose che capirebbe anche un bambino, poi fate come vi pare. «Normalmente ci vogliono dai 5 agli 8 anni per produrre un vaccino. Per questo, senza dati a disposizione, io non farei il primo vaccino che dovesse arrivare a gennaio». Inevitabile, si scatena il panico.

Se lo dice Crisanti (perché lui è un altro fisso sul teleschermo).

Sentito Crisanti?

Crisanti mio, m’hai convinto .

Poi però — il 2 gennaio — ecco Crisanti, ovviamente in diretta tivù dall’ospedale di Padova, la manica della camicia arrotolata e una dottoressa con la siringa china sul suo braccio: e certo, perché poi lui alla fine se lo fa il vaccino, noi no, ma lui sì, mica è scemo, lui che può mica ci rinuncia.

Che poi, Crisanti. Un giorno Giorgio Palù — professor ordinario di Microbiologia e Virologia, preside della facoltà di Medicina all’università di Padova, presidente Aifa — racconta: «Crisanti è un mio allievo. Accademicamente l’ho chiamato io, ma non è un virologo. È un esperto di zanzare».

Perché succede anche questo: tra loro, si dicono robe tremende.

Matteo Bassetti — direttore del reparto Malattie infettive al San Martino di Genova e amico personale di Matteo Salvini ai tempi in cui Salvini era sovranista: quindi, adesso, boh, magari hanno rotto — una mattina Bassetti va da Myrta Merlino a L’aria che tira, e dice: «Ilaria Capua è una veterinaria, non può parlare di vaccini». Allora alla professoressa Capua tocca spiegare che la laurea in veterinaria è del 1989 e che è stata solo l’inizio del suo percorso, da tempo è protagonista della scena internazionale e via così a difendersi.

Però noi intanto lì ad ascoltare: e — lentamente — a non capirci più niente. Quasi niente.

Chiaro a tutti che Roberto Burioni è tifoso della Lazio, e ogni tanto gli scappa una battuta. E che Alberto Zangrillo, primario di Anestesia e Rianimazione del San Raffaele di Milano, e soprattutto medico dello Zio Silvio, non si sopporta con Galli (molto anche per ragioni politiche). Così Zangrillo va giù duro: «Che figata salvare vite umane, mentre gli sciacalli che non hanno mai tenuto la mano a un malato, sparano cazzate in tivù». Galli: «Io veramente sono in ospedale da 44 anni».

Ma chi se ne importa.

Ma datevi una regolata.

Ieri altri 336 morti, siamo oltre i 94 mila totali: e non vediamo luce, e voi ci confondete solo le idee. Ti ascoltano? Macché. Ecco ancora Crisanti che accusa il ministro Speranza di «essere stato debole» e il governatore Zaia di «essere disgustoso, se è vero che compra vaccini per il Veneto».

No, davvero: basta. State zitti.

Sorgente: Liti, allarmi e visioni opposte. Quei virologi sempre in tv- Corriere.it

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