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Spartita tra Turchia e Russia nel silenzio dell’Occidente

di Lucio Caracciolo

Fra le troppe vittime del Covid-19 e del suo semi-monopolio dell’informazione c’è la nostra coscienza geopolitica. Come spiegare altrimenti il silenzio quasi totale con cui abbiamo accolto lo strategico cambio della guardia al nostro confine meridionale? Nel giro di pochi mesi, lo stretto che bordeggiando la Sicilia separa l’Italia dall’Africa, attraverso cui passa il grosso dei traffici fra Oriente e Occidente, ha visto insediarsi sulla costa meridionale due potenze di rango: Turchia e Russia. I turchi a Tripoli e dintorni, i russi nella Cirenaica. In tempi di guerra fredda, tale scenario avrebbe provocato reazioni frenetiche. Probabilmente la guerra calda. Oggi niente. Perché?

Prima ricordiamo il come. Tra marzo e ottobre 2011, per decisione francese accompagnata dai britannici e protetta dagli americani, il regime di Gheddafi, ormai al tramonto, fu spazzato via. Ma gli atlantici non avevano un dittatore di ricambio. Oppure pensavano che la nazione libica esistesse davvero. Sicché potesse avviarsi verso orizzonti filo-occidentali. Per l’Italia, che malvolentieri sostenne l’impresa avendo appena ratificato un trattato di amicizia con Gheddafi, il problema era immediato: alla nostra frontiera marittima meridionale, fianco Sud della Nato, ecco aprirsi un colossale vuoto geopolitico. Grande sei volte il nostro Paese. I francesi, dimentichi del detto cartesiano per cui la natura aborre il vuoto, scoprirono che quel deserto a ridosso del loro pré carré nordafricano se non gestito da un cliente sarebbe finito a disposizione di jihadisti o peggio di potenze avversarie. Idem per gli altri atlantici. Noi compresi.

Da allora le Libie sono coriandoli contesi fra milizie attratte dalle notevoli risorse locali, tra petrolio e traffico di esseri umani. Due apparenti attori principali: il generale Khalifa Haftar, sostenuto da Russia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, a tratti dagli Usa, surrettiziamente anche dalla Francia. E Fayez al-Serraj, leader di un teorico “governo” tripolino benedetto dall’Onu e dall’Italia, armato da turchi e qatarini. Il duello è in provvisorio stallo. A questo punto i due presunti protagonisti si sono svelati teste di turco. Serraj in senso proprio, essendo ormai la Tripolitania protettorato turco, più cogente di quanto fosse ai tempi ottomani. Haftar in metafora, visto che dietro di lui si è allungata l’ombra di Mosca e delle sue milizie Wagner, che stanno stringendo i bulloni della presenza russa in Cirenaica.
Scenario impensabile senza l’allentamento della guardia americana in Nordafrica e nel Mediterraneo. Washington è concentrata sul Mediterraneo asiatico: il Mar Cinese Meridionale. Dove ci sollecita a partecipare con una nostra spedizione navale al contenimento/strangolamento della Cina (è la “Nato globale”, bellezza!).

Intanto occupiamoci del Mediterraneo di casa. A meno di non considerare normale confinare con due potenze quali Turchia e Russia. La prima, formalmente alleata, di fatto in pulsione neo-imperiale. La seconda, considerata nemica fissa dal nostro capocordata d’Oltreatlantico. Alle prese con una grave crisi d’identità e di strategia, Washington non considera prioritario il contenimento mediterraneo della Russia. È anzi tentata di subappaltarlo alla Turchia, quasi Ankara fosse partner affidabile e non aspirante primattore.
Risultato: le Libie sono affari nostri. Vegliare l’instabile confine con Caoslandia fronteggiando sulla quarta sponda Turchia e Russia è sfida serissima. Se non ce ne occuperemo, saranno altri, nemici o presunti alleati, a occuparsi di noi.

Sorgente: La Libia mai così lontana | Rep

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