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Ancora polemiche e nuova ondata di indignazione per l’episodio accaduto a Salt Lake City. Era stata la madre a chiamare la centrale operativa della polizia e a chiedere aiuto per il figlio. Il ragazzo colpito a una spalla, al ventre e alle caviglie

di Massimo Gaggi

NEW YORK — Di nuovo poliziotti scriteriati che usano le armi da fuoco con incredibile leggerezza. Di nuovo agenti che trattano un malato di mente come un criminale qualunque, pretendendo obbedienza da una persona incapace di intendere e di volere. Stavolta succede a Salt Lake City, nello Utah e di nuovo, come nel caso emerso qualche giorno fa a Rochester, nello Stato di New York, la vittima è una persona disarmata con gravi problemi mentali. E se Black Lives Matter si mobiliterà di nuovo, non sarà di certo per il colore della pelle della vittima: Linden Cameron è un ragazzino bianco di 13 anni che soffre di autismo.

Venerdì scorso la madre era tornata al lavoro dopo molti mesi d’interruzione per via della pandemia. Rientrando a casa ha trovato il figlio in preda a una crisi nervosa, probabilmente scatenata dal suo improvviso allontanamento. Incapace di tenergli testa, Golda Barton aveva chiamato il 911 (il 113 americano) per chiedere aiuto. Sperava in un’ambulanza e in un ricovero in ospedale. Invece è arrivata una pattuglia della polizia con gli agenti che hanno urlato al ragazzo di mettersi a terra. Ancor più terrorizzato, Linden non ha obbedito e dopo qualche attimo uno degli agenti ha sparato colpendolo tre volte all’addome e a una spalla. Ora è ricoverato in ospedale in condizioni gravi ma, pare, non in immediato pericolo di vita.

 

Un caso che ha dell’incredibile, peggiore di quello di Rochester dove i poliziotti non hanno sparato nè tirato fuori armi: avevano messo un cappuccio antisputi a Daniel Prude temendo contagi da Covid-19 e da Hiv e, immobilizzandolo a terra, non si sono resi conto che lo stavano soffocando. Poi hanno parlato del suo decesso come di un caso di overdose (oltre ad avere gravi problemi mentali, Prude aveva fatto uso di stupefacenti).

Nello Utah, invece (il fatto risale a venerdì) il portavoce della polizia inizialmente ha detto che gli agenti hanno dovuto agire perché Linden aveva un’arma e stava minacciando altri cittadini. Ma poi ha dovuto correggere il tiro (ora non parla più di ritrovamento di un’arma) dopo che la madre, in lacrime davanti alle telecamere, lo ha smentito: «Non aveva armi, voleva attirare l’attenzione e poi è fuggito: ho detto loro delle sue condizioni psichiche, li ho pregati di usare il livello minimo di forza possibile. Ma loro l’hanno inseguito e dopo qualche secondo ho sentito i colpi. Li ho raggiunti mentre lo portavano via e non mi hanno nemmeno detto se mio figlio era vivo o morto».

È sempre più evidente che, al di là di atteggiamenti razzisti che emergono in alcune circostanze, molti agenti americani, decisi a non rischiare nulla nel contatto fisico con la persona da arrestare e protetti da norme che li autorizzano a sparare se si sento minacciati, reagiscono con un eccesso di violenza non appena si delinea una situazione potenzialmente pericolosa. A Sal Lake City c’erano già stati casi di reazioni eccessivamente violente degli agenti e perfino dei loro cani poliziotto. Il sindaco e le altre autorità cittadine avevano sollecitato una riforma della polizia e un addestramento più approfondito. Gli agenti, che avevano già studiato le tecniche di de-escalation per far scemare le tensioni, avevano promesso di seguire un nuovo corso su come trattare i cittadini con problemi psichici. Doveva iniziare sabato, il giorno dopo la sanguinosa cattura di un povero malato di mente.

Sorgente: Utah: la polizia spara a Linden Cameron, 13enne autistico – Corriere.it

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