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Usa,  Pompeo attacca la Cina:  «Il mondo  libero trionfi contro questa nuova tirannia». E Pechino ordina la chiusura del consolato Usa a Chengdu

Parole durissime del segretario di Stato contro Pechino e conto il Partito comunista al potere. La crisi diplomatica si aggrava. A San Francisco il caso della ricercatrice cinese accusata di spionaggio

di Giuseppe Sarcina, corrispondente in Washington

L’escalation continua, pericolosamente. Per la prima volta il Segretario di Stato Mike Pompeo ha invitato «il popolo cinese a cambiare il comportamento del Partito comunista». Con un attacco durissimo e diretto al presidente Xi Jinping: «Un vero credente nella fallimentare ideologia totalitaria». Il capo della diplomazia Usa, inoltre, ha chiesto agli alleati di formare un cordone per isolare Pechino e ha assicurato gli Stati Uniti «faranno il possibile per dare forza al popolo cinese». Sono parole pesanti che confermano quanto sia diventato del tutto obsoleto lo schema adottato dall’amministrazione Trump negli ultimi tre anni: alternare conflitto e cooperazione, cercando un accordo sul commercio e una sponda per addomesticare il dittatore nordcoreano Kim Jong-Un. Anche nei momenti più tesi, Donald Trump ha sempre tenuto fuori dalla mischia il «grande presidente Xi-Jinping». Ora Pompeo lo tira giù brutalmente dal piedistallo.E intanto Pechino risponde alla chiusura del consolato a Houston ordinata dagli Usa: come riferito dal New York Times, la Cina ha infatti a sua volta ordinato agli Stati Uniti di chiudere il consolato a Chengdu, evidente rappresaglia per la mossa di Washington.

L’uscita del Segretario di Stato arriva nel pieno della «crisi dei consolati» e nel giorno in cui il presidente annuncia la cancellazione della convention repubblicana a Jacksonville, in Florida. «Non è il momento per grandi raduni», ha detto Trump. La crescita dei positivi, ieri toccata la soglia di 4 milioni in tutto il Paese, costringe a rivedere anche i piani della campagna elettorale. La Casa Bianca ha provato a resistere fino all’ultimo. Ma le previsioni sono pessime: la Florida rimarrà uno dei focolai più attivi del contagio. I delegati, allora,si incontreranno a Charlotte in North Carolina, a ranghi ridotti e attribuiranno la «nomination» al presidente in carica. Poi si procederà solo con eventi online, compreso il discorso finale di Trump.

Cina ed emergenza interna si incrociano. Entro oggi pomeriggio le autorità cinesi dovranno sgomberare la sede diplomatica a Houston. Gli americani sostengono che fosse una base per lo spionaggio militare, industriale e scientifico. Ieri, nuovo sviluppo. Una scienziata cinese si è rifugiata nel consolato del suo Paese a San Francisco, per sfuggire a un mandato di cattura spiccato dall’Fbi. La donna si chiama Juan Tang ed è una specialista della ricerca sul cancro: stava partecipando a un programma di scambio nell’Università pubblica della California, a Davis. Gli investigatori la accusano di aver falsificato la domanda per ottenere il permesso di soggiorno. Tang aveva dichiarato di non aver avuto alcun collegamento con l’esercito cinese. Ma il 20 giugno gli agenti del Federal Bureau hanno perquisito la sua abitazione, trovando foto della ricercatrice in divisa e scoprendo che aveva lavorato per l’esercito militare. In realtà non c’è molta chiarezza: a quanti anni fa risalgono quelle immagini? Dall’altra parte: perché Tang ha nascosto questo particolare, se era innocuo? Sta di fatto che Tang si è rifugiata negli uffici del Console Wang Donghua a San Francisco. E lì è rimasta. È l’ultimo di una lunga serie di casi.

Il 7 luglio scorso, intervenendo in una conferenza virtuale del centro studi Hudson a Washington, il direttore dell’Fbi Christopher Wray ha rivelato: «Il nostro controspionaggio sta lavorando su circa cinquemila dossier collegati alla Cina, ormai ne apriamo uno ogni 10 ore». L’insidia ora toccherebbe anche la sperimentazione dei vaccini anti-Covid. La polizia sta cercando di arrestare due hacker che sarebbero collegati all’intelligence di Pechino. Si chiamano Li Xiaoyu e Dong Jiazhi. Tra i loro target figurano due società farmaceutiche. Non ci sono conferme ufficiali, ma gli indizi resi noti e la logica portano all’azienda Moderna, sede a Cambridge in Massachussetts, e a Novavax, quartier generale nel Maryland. Sono tra i candidati più avanti nella messa a punto del vaccino. Novavax ha appena ricevuto 1,6 miliardi di dollari dall’amministrazione federale; Moderna, 483 milioni. A Washington si attende la risposta di Pechino. Lo stesso Pompeo ha detto in un’intervista: «Ora dipende da loro».

 

Sorgente: corriere.it


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