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La Strana Coppia. Dialogo in Cgil: «Servono le sardine operaie», «Contrattiamo cosa si produce». L’ex premier e il segretario del sindacato uniti «per rilanciare il ruolo pubblico»

Massimo Franchi

Il segretario generale della Cgil tacciato di essere un estremista e diventato – per sua stessa autoironica ammissione – «un moderato». Che dialoga di lavoro con l’ex presidente del consiglio della «sinistra liberale», con gli anni tornato ad usare parole come «proletariato» e «classe operaia». Ieri mattina solo posti in piedi all’aula Santi della Cgil – la più capiente Di Vittorio era occupata dall’Assemblea generale della Fiom – per parlare de «L’orizzonte del lavoro» con Maurizio Landini e Massimo D’Alema. L’occasione è la presentazione del numero di ItalianiEuropei – la fondazione di D’Alema – che ospita un dialogo scritto tra i due. Ad officiare c’è Bianca Berlinguer, fra gli astanti il professor Domenico De Masi.

L’OSPITALITÀ PORTA AD EVITARE di ricordare il 1997 quando il segretario del Pds D’Alema sfidò la Cgil (di Cofferati) a prendere atto che «mobilità e flessibilità sono un dato di realtà». Anche perché in quell’anno Landini era un semplice delegato della Fiom.

D’Alema e Landini sono comunque una «strana coppia» che si è conosciuta «da poco» ma che si «stima» e si sta spendendo «per rilanciare la sinistra in Italia». Un obiettivo «fin troppo ambizioso» che parte da una lucida e autocritica disanima dei fallimenti degli ultimi trent’anni su entrambi i fronti. «La sinistra ha smesso di rappresentare il mondo del lavoro. È prevalsa una forma di partito sempre meno in grado di essere coinvolgente, motivante per chi lavora», spiega D’Alema. «Da trent’anni la politica non seleziona più operai, solo piccola borghesia rampante, il proletariato non accede più alla politica: le primarie, i comitati elettorali hanno espulso gli operai con una logica respingente: quando sentite l’espressione “la società civile” mettete mano alla pistola», è l’iperbole per rendere più chiaro il concetto.
Dall’altra parte Landini ricorda «il ritardo del sindacato nel capire i guasti che la precarietà avrebbe determinato, l’idea di poterla gestire invece che proporsi di metterla in discussione alla radice», e poi si lancia in una sommatoria storico-filosofica: «Fordismo più socialismo ha prodotto solo fordismo: se assumo la libertà nel lavoro come elemento di rappresentanza si arriva al diritto di proprietà dell’imprenditore».
La critica al liberismo europeo è comune. «Vincoli e politiche di Bruxelles si sono scaricate tutte sul lavoro» (D’Alema), «Finita la svalutazione della lira che permetteva all’Italia di essere competitiva, è partita la svalutazione del lavoro» (Landini).

A RENZI SARANNO FISCHIATE le orecchie, anche se non è mai stato nominato: «Quando un ex presidente del consiglio dichiara che la cosa più di sinistra che ha fatto è il JobsAct, la rottura è decisiva. Se la sinistra riduce il lavoro a merce, è parte del problema non speranza di cambiamento», inaugura Landini. D’Alema considera «il Jobs act un atto catastrofico di rottura, percepito in modo devastante dai lavoratori» che «ha portato la sinistra ad una subalternità culturale al mondo dell’impresa» e si toglie qualche sassolino dalla scarpa dicendo: «Era più comprensibile aver civettato con la “Terza via” di Blair negli anni novanta che dopo la crisi del 2007». Sinistra e sindacato in quegli anni «non sono stati in grado di capire che le tutele erano diventate appannaggio di una minoranza ristretta di lavoratori e andavano allargate, sebbene in modo inclusivo». Per Landini «il cambiamento radicale che stiamo vivendo dal punto di vista ambientale e tecnologico non può essere affrontato dal sindacato limitandosi a contrattare salario e orario con le imprese dopo che queste hanno deciso cosa produrre perché ci fa rimanere comunque subalterni. Dobbiamo invece puntare a permettere alle persone che rappresentiamo di partecipare alle decisioni su cosa e come produrre. Per farlo però non è sufficiente essere nei cda o avere azioni», sostiene Landini.

SUL FATIDICO «CHE FARE» d’ora in avanti i due hanno una visione vicina. «Politica e sindacato devono tornarsi a frequentare, un rapporto fisico, molecolare. Nel Pd le persone non sanno parlare con gli operai, non li capiscono: a Zingaretti consiglio una scuola di partito, uno dei docenti sarebbe sicuramente Maurizio Landini». «Ma ho la terza media», si schermisce l’altro.
Se l’obiettivo è il rilancio della partecipazione, D’Alema festeggia l’intervento «delle sardine che sono riuscite a contrapporsi dal punto di vista valoriale alla destra», ma «finché non ci saranno le “sardine del lavoro” non si mobiliterà un mondo fondamentale per la sinistra: se dopo il ’68 non fosse arrivato il ’69 sindacale le conquiste sociali degli anni ’70 non ci sarebbero».

STIMOLATI SULL’OGGI e sulla durata del governo Conte sia D’Alema che Landini hanno svicolato mostrandosi pessimisti. «Per uscire dalla melma servirebbe rilanciare la qualità del capitalismo pubblico accompagnando con una mission le tante nomine che il governo dovrà fare», sintetizza l’ex presidente del consiglio. «Noi abbiamo lanciato una sfida unitaria al governo su pensioni, lavoro e fisco: attendiamo una convocazione da Conte per affrontare le tante crisi aziendali facendo sistema e gli chiediamo di non galleggiare, perché se galleggi solo, prima o poi affondi: c’è uno spettacolo politico che mi sta un po’ rompendo le scatole. Discutono e parlano di Pasqua e prescrizione. Ma nei giri che ho fatto, le persone non mi hanno fatto domande su questo», chiude Landini.

Sorgente: «Il lavoro torni a sinistra», asse fra D’Alema e Landini | il manifesto

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