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Cresce la preoccupazione dentro la Lega: proveranno a consumarci e a consumare Salvini

Il braccio di ferro per le candidature alle prossime regionali può rappresentare un passaggio importante nella competizione con gli alleati di centro-destra

di Francesco Verderami

Certo, Giorgetti non avrebbe mai suonato a un citofono, così come non avrebbe mai detto ai senatori della Lega di votare l’autorizzazione a procedere contro il loro segretario. Ma il problema per Giorgetti non è questo, non è il modo in cui Salvini ha personalizzato la sfida in Emilia-Romagna, e in fondo comprende che «Matteo abbia voluto fare a modo suo, giocando se stesso, quindi giocandosi tutto». Per Giorgetti il vero problema è un altro, sta nelle domande retoriche che ha posto alla presentazione del libro «Popolo ed elite», pubblicato dagli Amici di Marco Biagi ed edito da Marsilio: «Se c’è un governo democraticamente eletto dal popolo che non sta bene alle elite, va rimosso o no?». «Il verdetto popolare va accettato in ogni caso o solo in taluni casi?». E infine: «Il luogo dove si decide è il governo della Repubblica italiana? No».

Parlando della «democrazia che non funziona più», l’ex sottosegretario alla Presidenza ha indirettamente reso pubblico il tema di cui si parla (e non da oggi) nella Lega come nei palazzi della politica e delle istituzioni, in Italia come in Europa: in caso di vittoria elettorale, Salvini diventerebbe premier? Far metabolizzare al diretto interessato quanto sia intricata la faccenda «questo è un altro problema», ha ammesso Giorgetti al termine del dibattito: «E visto che vuol metterci l’uno contro l’altro — ha sorriso per sdrammatizzare — la stampa scriva pure che potrei fare il premier io al suo posto…». Ovviamente è stato un modo per esorcizzare la questione, per chiudere un discorso pesante che inevitabilmente sarà destinato a tener banco di qui in avanti, specie se la legislatura arriverà al termine naturale.

Il resto sono questioni minori, come la riorganizzazione del partito. Per quanto andrà capito come mai in Emilia Romagna, in più di quattromila schede, l’elettore ha votato Lega ma poi ha scelto Bonaccini. Piuttosto è il braccio di ferro per le candidature alle prossime regionali che può rappresentare un passaggio importante nella competizione con gli alleati di centro-destra, siccome passa dalla Campania e soprattutto dalla Puglia il tentativo del Carroccio di sfondare al Sud. Al momento l’operazione si è inceppata: perché se l’Emilia-Romagna aveva una valenza politica nazionale, la Calabria doveva rappresentare la testa di ponte di un allargamento del consenso nel Meridione. E non è andata secondo le previsioni.

Ma il vero problema è quello sollevato da Giorgetti, che in più annota «il declino della classe politica di pari passo con il declino della classe dirigente»: «In questo contesto, i migliori non intendono impegnarsi e restano fuori dalla dimensione pubblica». Una forma di outing pari a quella del ministro della Salute Speranza, che dal palco del convegno aveva appena bollato la sinistra, «incapace di rispondere alla domanda di protezione, anche sociale», delle classi più deboli, «non a caso» decise a «ribellarsi con un voto di reazione» per via «dell’insicurezza economica» e di «decisioni — in Italia e in Europa — sempre più lontane» dalle esigenze collettive.

E la Lega, che si era piazzata proprio in quel crocevia, si ritrova con una messe di voti e con la preoccupazione che possano trasformarsi in monete fuori corso. È un rischio avvertito da autorevoli esponenti del Carroccio, che si rammaricano di non aver «colto l’attimo l’anno scorso»: «Bisognava aprire la crisi a ridosso delle Europee, quando i nostri avversari erano impreparati. Ora è come se stessimo sotto una slavina che sta per staccarsi: proveranno a consumare Salvini e a consumarci». La minaccia non viene dalla proporzionale. Almeno così la pensa Giorgetti, che formalmente non condivide il progetto di riforma del sistema di voto, ma nemmeno lo demonizza, alludendo piuttosto alla necessità di alcuni correttivi. Lo fa restando nell’alveo dei tecnismi dei modelli elettorali: «… Per esempio, se si vogliono ripristinare le preferenze, va eliminato il reato di traffico d’influenza». Il punto è se poi i voti si conteranno o si peseranno. E per una volta il pessimismo cosmico dell’ex sottosegretario alla Presidenza incrocia un sentimento collettivo nel partito.

Sorgente: corriere.it


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