Roma – Antinfiammatori, cortisonici e antibiotici: questo ha trovato un test del mensile Il Salvagente (i cui esiti saranno pubblicati sul fascicolo in edicola domani, venerdì 24 gennaio), effettuato su 21 confezioni di latte, fresco e a lunga conservazione, prodotto da alcuni dei principali marchi italiani, tutte comprate in supermercati e altri negozi.
In più della metà delle confezioni sono state rilevate tracce di farmaci: le più frequenti sono state di dexamethasone (un cortisonico), neloxicam (antinfiammatorio) e amoxicillina (un antibiotico), in concentrazioni tra 0,022 mcg/kg e 1,8 mcg/kg. È stato possibile rilevarle grazie a un nuovo metodo pensato dall’Università Federico II di Napoli e da quella di Valencia, in grado di scoprire contenuti molto piccoli.
Niente allarmismi, secondo il direttore della rivista, Riccardo Quintili, anche perché tutto è in regola con i limiti di legge, però voglia di fare chiarezza: «Queste analisi – ha spiegato – non vogliono essere una penalizzazione alle aziende nelle cui confezioni abbiamo trovato residui di farmaci. Molte si sono mostrate sensibili. L’interesse era sollevare un potenziale rischio per trovare soluzioni».
Ma da dove provengono questi residui di medicinali? Secondo Enrico Moriconi, veterinario e garante degli Animali per la Regione Piemonte, sono «usati per curare le mastiti, cioè le infezioni alle mammelle delle vacche da latte», con cortisonici e antinfiammatori impiegati come coadiuvanti.our world in data: la produzione di latte dal 1961 a oggi
Quali sono i (possibili) rischi per la salute
Degli effetti di assunzione continuata di antibiotici, soprattutto sui bambini, che sono grandi consumatori di latte, si è comunque discusso in giornata a Roma: «L’assunzione costante di piccole dosi di antibiotico – ha evidenziato il pediatra e gastroenterologo Ruggiero Francavilla dell’Università di Bari – con gli alimenti può determinare una pressione selettiva sulla normale flora batterica intestinale, a vantaggio dei batteri antibioticoresistenti, che possono diventare più rappresentati».
I risultati confermano quelli di una ricerca su 56 latti italiani, pubblicata sul Journal of Dairy Science: «Neonati e bambini sono particolarmente esposti – è la conclusione di Alberto Ritieni, professore di Chimica degli alimenti della Federico II- e potrebbero risultare più vulnerabili. Per questo, sarebbe necessario un monitoraggio costante degli allevamenti».
