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Intervista a Di Maio: «È tempo di dialogare con Damasco»

In Siria occorre «parlare con tutti»: anche con la Siria di Assad. E invita l’Europa a farlo. «Vedrò Lavrov, Mosca è l’interlocutore chiave in Libia. Stop alle ingerenze». E risponde anche sulla Cina

Maurizio Caprara

Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio sostiene che in Siria vanno tenuti canali di confronto con «tutti i soggetti rappresentativi» e che occorre dare «maggiore impulso anche al dialogo con Damasco». Tra gli interlocutori dell’Unione Europea e del nostro Paese dunque a suo avviso deve esserci il mai spodestato presidente siriano Bashar El Assad, una tradizionale conoscenza dell’Italia con la quale rappresentanti del nostro Stato hanno ridotto e meno pubblicizzato i rapporti dopo che il raìs, nel 2011, cominciò a far sparare sulle rivolte di piazza. Di Maio afferma inoltre di aver parlato «in maniera franca e costruttiva» — ossia senza nascondere le divergenze e cercando di ricomporle — al suo collega turco Mevlut Cavusoglu. Su un caso insidioso: l’invio di navi militari vicino a Cipro da parte di Ankara per scoraggiare le esplorazioni dell’Eni in cerca di idrocarburi.

Sono due delle prese di posizione contenute nelle risposte che il titolare della Farnesina, capo politico del Movimento 5stelle, ha fornito a domande del Corriere della Sera in vista del «Med, Mediterranean dialogues» a Roma.
Quali saranno i principali colloqui che avrà durante il Med? Con quali obiettivi?
«Avrò in tutto 17 incontri bilaterali. Affronto questioni di rilevanza primaria per l’Italia come la stabilizzazione regionale, i fenomeni migratori, la lotta al terrorismo e il sostegno alla crescita economica».
Il governo italiano ha condannato l’offensiva nel Nord della Siria ordinata dal presidente turco Erdogan. Che cosa fa il nostro Paese per aiutare i curdi che hanno subito perdite nella lotta allo Stato islamico e poi sono stati aggrediti dalla Turchia dopo un sostanziale via libera di Donald Trump?
«Le forze curde e arabe e riunite nelle Syrian Democratic Forces hanno pagato un prezzo altissimo nella lotta contro lo Stato Islamico, che resta una minaccia seria. L’Italia ha sostenuto, e continuerà, programmi volti a stabilizzare il Nord-Est siriano favorendo alcuni servizi di base e il rafforzamento delle capacità amministrative locali. Contribuire a stabilizzare e ricostruire la Siria significa consolidare anche la sicurezza del nostro Paese. Appoggiamo al massimo il lavoro delle Nazioni Unite e dell’inviato speciale Geir Pedersen, che ho incontrato alla Farnesina, e ritengo importante dare anche maggiore impulso al dialogo con Damasco, coinvolgendo dunque tutti i soggetti rappresentativi, come facciamo in Libia. Gli sviluppi sul terreno richiedono rinnovati sforzi diplomatici e credo che l’Europa tutta debba fare di più in questa direzione».
Per scoraggiare collaborazioni con Cipro, come quella dell’Eni, nella ricerca di idrocarburi, la Turchia manda verso l’isola navi militari. Un’ostentazione di muscoli che può comportare più missioni della nostra Marina nel Mediterraneo orientale. Ne ha parlato con il ministro degli Esteri turco?
«Il Mediterraneo orientale per noi è strategico. L’Italia adotta da sempre per un approccio misurato. In questa ottica abbiamo sostenuto nel Consiglio affari esteri dell’11 novembre la decisione di provvedimenti mirati che hanno trasmesso un chiaro segnale politico in seguito all’invio della nave turca di perforazione Yavuz nel “Blocco 7” della Zona economica esclusiva cipriota. Anche perché si tratta del confine europeo. Ieri ho incontrato il mio collega Mevlut Cavusoglu con cui ho affrontato la questione in maniera franca e costruttiva».
La Libia non trova pace. L’Italia adesso non pare particolarmente attiva per favorire una soluzione, almeno in modo visibile. Che cosa sta facendo il suo ministero?
«L’Italia è in prima linea nella stabilizzazione della Libia. È per me uno dei dossier prioritari. All’Onu gran parte dei miei incontri ha riguardato la Libia, così la mia visita in Marocco. Agiamo per una soluzione politica e alleviare la situazione umanitaria. Stiamo contribuendo alla Conferenza di Berlino e ospiteremo a Roma la “Riunione dei Paesi vicini alla Libia”».
Il generale Khalifa Haftar è stato in grado di estendere violentemente il suo controllo oltre la Cirenaica, ma non su Tripoli. Le aperture che gli sono state riservate dal precedente governo italiano le sembrano aver pagato?
«Non c’è soluzione militare alla crisi libica. Il conflitto attuale ha solo esacerbato l’instabilità, alimentato il terrorismo e aggravato la situazione umanitaria. Abbiamo sempre mantenuto aperti i canali con tutte le parti coinvolte, incluse le tribù del Fezzan, e continueremo a farlo, convinti che solo un dialogo tra libici, sostenuto da una posizione convergente della comunità internazionale, possa condurre ad una soluzione durevole».
Haftar ha dietro di sé innanzitutto Russia ed Egitto. Secondo lei Mosca agevola un processo di pace o crea ostacoli traendo vantaggi dall’instabilità?
«Con la Russia condividiamo l’obiettivo della stabilità della Libia. Mosca è un interlocutore chiave. Sto per vedere il ministro Sergej Lavrov. Gli ribadirò la nostra ferma convinzione che non esiste una soluzione militare in Libia e che nessuno può trarre vantaggi da una situazione dalla quale deriva solo instabilità. Ecco perché devono cessare le interferenze esterne. Al contrario, tutte le energie vanno utilizzate per persuadere le parti che l’unica soluzione percorribile sia quella politica».
Con investimenti, ingressi in proprietà di porti e altro, la Cina ha accresciuto le sue attività nel Mediterraneo. Come mai lei non condanna la brutale repressione delle rivendicazioni di libertà dei giovani di Hong Kong, contrari a finire irreversibilmente sotto il dominio dittatoriale della Repubblica popolare cinese? Contro il governo di un Paese alleato, la Francia, lei ha appoggiato le proteste dei «gilet gialli» arrivando a incontrarne alcuni leader.
«Siamo interessati a rafforzare i rapporti economici con la Cina anche nel Mediterraneo e in materia di porti. Su Hong Kong, congiuntamente all’Unione Europea, abbiamo espresso l’esigenza che le libertà e i diritti fondamentali vengano rispettati e altrettanto chiaramente ci siamo espressi contro ogni forma di violenza. Le dichiarazioni della governatrice di Hong Kong, che ha preso atto del risultato delle elezioni distrettuali del 24 novembre promettendo di voler “ascoltare le opinioni dell’elettorato”, aiutano a ricostruire la fiducia tra le parti. L’Italia continuerà a impegnarsi per favorire il ritorno della stabilità a Hong Kong, anche nell’interesse dei tanti italiani ed europei che vivono lì».
L’ambasciata cinese a Roma ha giudicato «irresponsabile» un collegamento video di parlamentari italiani con Joshua Wong, un protagonista delle proteste di Hong Kong, e ha manifestato la «più ferma opposizione». La Farnesina ha riconosciuto che si tratta di valutazioni «inaccettabili». Lei ha in programma altri passi affinché un tentativo di intimidazione simile non si ripeta?
«Sul rispetto delle prerogative del Parlamento italiano e delle caratteristiche del nostro sistema costituzionale mi sono espresso subito e senza rischi di fraintendimento: il governo italiano non ammette che vengano in alcun modo messe in discussione. Credo che il messaggio sia stato recepito chiaramente».

sorgente: corriere.it

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