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Il 15 dicembre i gruppi di tutta Italia si riuniranno. I quattro ideatori della protesta raccontano progetti e timori

di Francesco Merlo

“Forse servirà più a ingarbugliare le cose che a chiarirle, ma il 15 dicembre le sardine di tutta Italia si riuniranno a Roma”. Sarà il primo congresso delle sardine? “Diciamola così: prenderemo una birra tutti insieme e ognuno dirà la sua. Noi intanto speriamo di riempire, il 14 dicembre, piazza San Giovanni. Puntiamo a organizzare una grande manifestazione con sessantamila sardine”. Perché sessantamila? “Sono le 6000 della prima volta moltiplicate per dieci. E l’indomani cominceremo a dialogare con la politica. Perché “la politica ha bisogno di noi” non resti solo uno slogan”.

A Bologna, a un tavolo del caffè della Salaborsa i 4 fondatori, Mattia Santori, Andrea Garreffa, Roberto Morotti e Giulia Trappoloni, per la prima volta intervistati insieme, spiegano cos’è il laboratorio delle sardine. E mi raccontano dei tanti che danno loro consigli: musicisti e filosofi, sociologi e politici incendiari, poeti e filantropesse, emissari occulti, giornalisti famosi, architetti e urbanisti… “Ci regalano idee, ci consigliano libri, ci mettono in guardia. Scrivono testi per noi, anche musiche e canzoni che ci offrono come inni. Ma noi l’inno ce l’abbiamo già: “Com’è profondo il mare” di Lucio Dalla”.

Dalla piace soprattutto ad Andrea Garreffa, che è il più intellettuale del gruppo, e per lavoro organizza viaggi in bicicletta. E dunque i peggiori della destra lo raccontano come uno squinternato d’assalto, com’erano i grillini al loro esordio. Invece è laureato a Bologna in Comunicazione Pubblica, parla un ottimo inglese, ha studiato a New York e in California, e scopro che ha scritto pure un piccolo libro che si intitola “Ovidio”, ed è la storia di una casa.

Domando: comincia a spirare un venticello di partito? “Nient’affatto. Il 14 a Roma la manifestazione sarà forte e sorprendente, anche per fantasia e creatività”. Qualcuno ha proposto che si vestano di bianco, un’enorme piazza di sardine bianche, Roma trasformata in un mare bianco “che è il colore del candore contrapposto a quello delle carognate, il colore dei senza colore”.

Mattia Santori è stato battezzato leader dalla televisione, buca il video perché è simpatico e ormai lo riconoscono per strada: “Lo lasciamo andare avanti perché funziona, e tutti ovviamente lo cercano. Ma noi gli stiamo sempre dietro” dicono in coro, ridendo. E Mattia: “C’è molta voglia di leader, ma io resisto”. Come si può resistere alla vanità? “Io penso che la parola giusta sia responsabilità. Molti si aspettano che le sardine risolvano problemi. E mi caricano di responsabilità. Ma noi abbiamo chiari i rischi che corriamo. Cosa dovrei fare, se no: sparire, chiudermi in una casa in collina?”.

E i soldi? “Le sardine si autotassano. Ma a Roma ci trattano come un partito e impongono costi molto alti. A partire dall’Ama, che chiede un euro a partecipante”. Un euro a sardina? I soldi, come vuole il vecchio aforisma di Margaret Thatcher, “hanno reso buono il Buon Samaritano più delle sue buone intenzioni”.

Hanno abitato nella stessa casa, sono amici, e sono convinti che non si perderanno l’uno con l’altro. Gli chiedo se sanno chi erano les petits camarades, i 4 piccoli compagni che a Parigi, più o meno alla loro età… “Erano Aron, Sartre, Nizan e Simone de Beauvoir. Le proporzioni tra maschi e femmine sono rispettate” dice Giulia. “Per il resto loro erano giganti e noi siamo sardine”.

Sulla qualità degli studi il confronto è duro, ma anche qui ci sono quattro belle lauree, bei voti, la voglia di scrivere. Roberto è ingegnere e disegna impianti industriali, Giulia è fisioterapista, 12 ore al giorno, e la sera insegna danza ai bambini. “Eppure su Facebook c’è una mia gigantografia con scritto sotto: “La disoccupata dei centri sociali”. Ma io non sono mai stata in un centro sociale. E, che dici, esibisco il certificato di laurea? Noi pensiamo che sia meglio insistere nel mostrare che c’è un altro modo di usare i social”. Qualcuno lo ha chiamato Alternet: l’Alternet delle sardine.

Il più vecchio, 32 anni, è Andrea, la sardina pensatrice. Lui è nato a Savona e Giulia, che a 29 anni è la più giovane, è nata a San Sepolcro in provincia di Arezzo, ma Bologna è il loro vincolo: “Ci siamo voluti bene in mezzo alle folle allegre di questa città grigia, sotto i cieli leggeri delle sue primavere”. Bologna si conferma come un laboratorio, spiega Bruno Simili, direttore del Mulino. “Due giorni prima che esordissero le sardine c’era stato un convegno sulla Bolognina con Occhetto. E fu in piazza Maggiore che nel 2007 Grillo organizzò il primo vaffa day. E c’era stato Guazzaloca, la destra che piaceva alla sinistra…”.

È un piacere parlare con Andrea Garreffa, la sardina pensatrice, di questo laboratorio dove conta molto l’architettura di Piazza Maggiore, “la creazione artistica dell’evento” dice Giulia Trappoloni, la scenografia della piazza monumentale, eccezione italiana, che non ha il Duomo, ma c’è san Petronio, che è il simbolo dell’indipendenza anche dal Papa-re, figuriamoci da Salvini. Qui c’era il foro romano e qui Bologna diventa l’agorà italiana, il modello di piazza nazionale, da esportare nel mondo.

Il territorio cambia l’identità delle sardine e con le identità torna l’Italia delle cento città, la provincia come valore, e Bologna come modello. E Bologna è forse più ricca di Milano, di cui certamente non ha i deliri di grandeur alla cassoeula, la Bologna delle gallerie d’arte e dei libri, della magnifica università, del Mast che è un museo raffinato ma in periferia, bello quanto la Fondazione Prada ma molto meno strombazzato. In questi giorni c’è ancora la mostra Anthropocene, bellissimo ed emozionante catalogo della terra antropizzata, “e come si fa a non legarla alla filosofia delle sardine?”. E poi c’è la Bologna delle multinazionali, con il suo volo giornaliero per Beirut, il diretto per New York.

La Madame de Staël di questa Bologna è Isabella Seragnoli, proprietaria della Coesia, il packaging che impacchetta il mondo, ricchissima filantropa, “la monaca imprenditrice” la chiamano a Bologna, appartata e discreta, ha costruito centri per malati terminali e sta costruendo un hospice oncologico per bimbi e l’ha affidato a Renzo Piano che ha immaginato “una casa sospesa tra gli alberi” spiegando però che non esiste nulla di più difficile per un architetto, ben più difficile del nuovo ponte di Genova. Anche alla Seragnoli piacciono le sardine, anche lei è rimasta affascinata dalla filosofia della cortesia, la politica senza turpiloquio, le sardine come “voglia italiana di grammatica” che da Bologna contagia l’intero paese, ciascuna sardina con il differente suo genius loci.

“Ma dentro un quadro – dicono Roberto Morotti e Giulia Trappoloni – che viene ufficializzato da noi. Non un certificato, ma una tavola di valori”. Verificati come? “Con una chiacchierata breve, informale”. Non avete mai respinto qualcuno? “Finora mai”. Dunque in ogni piazza d’Italia le sardine prendono una forma diversa. E infatti hanno cantato inni diversi, “da De André a Pino Daniele…”. E a Ferrara hanno cantato “Io non mi sento italiano” che è la canzone-postuma, l’epitaffio di Gaber quando, molto malato, sentiva l’Italia premergli come un testamento: “Mi scusi presidente / non sento un gran bisogno / dell’inno nazionale / di cui un po’ mi vergogno”. Il presidente, all’epoca, era Ciampi. Ma Gaber non aveva certo scritto quella canzone come un inno di piazza da ballare con i bimbi sulle spalle.

“Le sardine, almeno per ora, sono solo piazza: la piazza di Bologna appunto in trasferta in tutte le piazze d’Italia” dice Andrea Garreffa. E Bifo, il vecchio Franco Berardi, quello dell’Autonomia di quarant’anni fa, si rammarica di non essere andato perché non stava bene: “Loro sono la piazza della cortesia che sembra un ossimoro”. Ma forse la piazza pacifica è solo un inedito italiano. “Per questo sono eroi, esteticamente ed eticamente. Politicamente non sono nulla, ma è buffo vedere come li sta corteggiando il Pd e quella sinistra che ha prodotto il loro disagio, il loro spaesamento”.

Stefano Bonaccini, governatore uscente, ricandidato del Pd alle prossime regionali di gennaio trattiene il respiro perché spera che ogni sardina diventi un voto per sé e il suo partito. Dice Bifo: “Corteggia le sue vittime”. E il direttore del Mulino, Bruno Simili: “Immagino che tra le sardine ci siano molti fuori sede che dunque non voteranno a Bologna. Ma, comunque, non credo che quella piazza sia del Pd. Certo, è contro Salvini e, dovendo votare …”. Bonaccini fa la sua campagna elettorale: “Sono giovani in cerca di un’alternativa alla destra di Salvini. Io offro un’alternativa e dunque legittimamente aspiro a rappresentarli elettoralmente. E sono contento che Mattia abbia detto che verrà ad ascoltarmi il 7 di dicembre in piazza Maggiore”. Mattia conferma: “Andrò ad ascoltarlo ma perché mi piace stare nelle piazze e non perché prendo la tessera del Pd”.

Con Andrea Garreffa ci diciamo che la piazza delle sardine è quella di Umberto Saba che appunto a Bologna – , la sua era piazza Aldrovandi – scoprì il disperato amore per la vita, la piazza “dell’allegra ragazzaglia” dove le sardine che “gonfian le gote in fior di gioventù” sono la fraternità ritrovata, “la piazza bambina” dice ancora Andrea, come “la calda vita di tutti”. “Ecco il verso finale di Saba: “E tu sei tutta in questa piazza, Italia””.

Eppure Bologna, che li ha fatti nascere, ora rischia di soffocarli d’amore. È bizzarro che piacciano così tanto a tutti, anche a quelli che non si piacciono tra loro (“li adoro” è il verbo più usato): si va dal vecchio blasonato cavaliere Gazzoni, quello della squadra del Bologna e dell’Idrolitina, che li vorrebbe “come figli”, al cardinale Zuppi che in quella piazza vede l’amore che la domenica non vede più in chiesa, a Flavia Prodi e a Stefano Bonaga che a Bologna è la simpatia di sinistra (“sfigato ma allegro”). Bonaga ha suggerito alle sardine di contrapporre alla Democrazia (potere del popolo) l’Isocrazia (potere degli uguali). “Sai cosa mi hanno risposto? Che usare così il greco sarebbe roba da fighetti di sinistra”.

Ma Bonaga li capisce perché ci vede la leggerezza della Bologna anti-accademica, la satira politica di Andrea Pazienza, e c’è lo spiritello tondelliano, del Dams di Umberto Eco, di Gianni Celati, il fumetto, l’underground, il cinema, la forza dell’autoironia: “pensate alle “legioni” di Forza nuova e CasaPound a destra e ai “banchi” di sardine della sinistra”. E c’è pure, nel laboratorio delle sardine, la creatività dell’architettura ecosostenibile di Mario Cucinella che, genovese, ha scelto Bologna per lavorare e per vivere, “e con la fierezza di abitare in periferia, alla Bolognina”.

E infatti era anche lui in piazza con la sardine, anche lui entusiasta, anche a lui a disegnare pesci. Bifo, che purtroppo non sta bene e forse per questo è un po’ cupo, dice che “per un giovane di oggi ci sono solo due possibilità: o fare la sardina, obbligando se stesso a sperare, oppure fare come il protagonista del film “Cafarnao”, che va alla polizia e denunzia i propri genitori per averlo messo al mondo”.

 

Sorgente: Dal laboratorio Bologna alla prova della politica. Le sardine a congresso | Rep

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