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Ex operai Ilva a Taranto

Intervista a Rocco Palombella (Uilm). «L’epilogo è scritto: nessuno bonificherà il territorio. Contro la Morselli tutta Terni scese in piazza: c’erano le famiglie, c’erano i bambini. Da noi questo non può succedere. Ho lavorato lì 30 anni: fa rabbia. Conte non otterà niente, azienda in posizione di forza»

Massimo Franchi

Rocco Palombella, segretario generale della Uilm, primo sindacato a Taranto. Lei ha lavorato 30 anni nell’area altoforni ghisa. Cosa prova oggi che Arcelor Mittal ha deciso di lasciare?
A me la situazione è drammaticamente chiara. Siamo all’epilogo della storia, fermata dell’Ilva, chiusura della fabbrica. Invocata da autorevoli esponenti politici. Un grande capolavoro al contrario. E la cosa più grave è che Mittal ha sospeso il piano ambientale: ora nessuno bonificherà il territorio.

Rocco Palombella, segretario Uilm

La sua rabbia è più verso Arcelor Mittal o verso la politica? Chi ha più colpe per questo epilogo?
Ormai ognuno si alza e si sente libero di dire la sua cazzata, come Renzi su Jindal: ma figuriamoci se torna, ha già problemi a Piombino. Nessuno immaginava che Mittal se ne andasse: ha accumulato un clima di negatività e ha deciso di lasciare. E ora solo un miracolo la può far tornare indietro.

Voi sindacati festeggiaste l’accordo firmato l’anno scorso. Lo rivendicate ancora o avete cambiato idea?
Assolutamente no. Era il miglior accordo sottoscritto in questi anni per una crisi aziendale. Riportava al lavoro tutti e prevedeva un risanamento ambientale molto stringente, figlio delle prescrizioni della magistratura. Il problema è che l’azienda non lo sta rispettando e la politica ha lavorato perché l’accordo non si realizzasse con tutto il balletto sullo scudo penale.

Dalle sue parole si capisce che non si aspetta granché dall’incontro a palazzo Chigi fra Mittal e governo.
No, perché se durante la trattativa siamo stati noi sindacati assieme col governo ad avere il potere di far cambiare idea all’azienda, ora è Mittal che può imporre quello che vuole al governo. Potrà dire: “Vado avanti solo con le brame da fuori per la laminazione e 5 mila esuberi”. Il governo dovrà accettare e dopo un po’ Mittal dirà che gli costa troppo portare le brame via mare e chiuderà definitivamente.

Non andrebbe bene neanche la decarbornizzazione proposta dal presidente della Puglia Michele Emiliano?
Non esiste un caso al mondo per una acciaieria così grande. Non abbiamo il know how per farlo, andrebbero chiuse le cokerie e servirebbero dieci forni elettrici per mantenere una produzione simile. E poi manca il gas: bisognerebbe portarlo con le navi ma costerebbe una enormità. Insomma, non è fattibile.

Non le pare che l’unica possibilità ora sia la riconversione della fabbrica? Perché siete sempre stati contrari?
Riconversione significa cambiare produzione? Togliere lo stabilimento siderurgico? Siamo contrari perché non esiste al mondo uno stabilimento di quelle dimensioni che viene chiuso e riconvertito in tempi compatibili con il mantenimento dell’occupazione. La riconversione si deve fare con gli impianti in marcia. Chi chiede la riconversione invece lo fa con l’intento di fermare la fabbrica e poi di chiuderla.

Nella ricostruzione storica dell’acciaieria di Taranto inaugurata nel 1965 si mette sotto accusa anche il sindacato per il raddoppio del 1971 che lambì i quartieri ora inquinati. Vi sentite responsabili?
Avevo 16 anni ed ero appena entrato in fabbrica. Il raddoppio si fece per permettere economie di scala che insieme ad una produzione di qualità fecero la fortuna dell’Italsider. Tutti erano contenti del raddoppio perché permetteva a Taranto di crescere e creare ricchezza. Nessuno poteva prevedere le conseguenze sull’ambiente a quel tempo.

Avete sottovalutato le conseguenze ambientali, quindi?
Lo hanno fatto tutti, prima di tutto i Riva che hanno occultato l’inquinamento. Ora ci accusano di continuismo, di accettare la morte dei bambini, ma gli operai sono morti di tumore uguale e in più muoiono sul lavoro. Il problema di Taranto è che è una città divisa e la politica la sta dividendo ancor di più. Quando la Morselli voleva chiudere Terni tutta la città unita scese in piazza: c’erano le famiglie, c’erano i bambini. A Taranto questo non può succedere. Per questo l’Ilva chiude.

Sorgente: ilmanifesto.it

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