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Fra le dune e vicino alle spiagge un ammasso di giubbotti colorati crea una macchia visibile anche da lontano. Il luogo ricorda il «cimitero delle barche di Lampedusa» ed è meta di «pellegrinaggi»

di Daniele Viotti

Nascoste in una piccola valle ci sono due colline arancioni. Anche questa è Lesbo, la Lesbo che non si deve mostrare ai turisti che vogliono bagnarsi nella spiaggia di Molyvos, la più rinomata di tutta l’isola.

Da lontano si vede solo l’arancione. Quando mi avvicino mi ritrovo nel «cimitero dei salvagenti». Con decine di migliaia di giubbotti di salvataggio ammucchiati l’uno sull’altro.

Questo luogo si trova a 7 km dal punto dell’isola più vicino alla Turchia, Skala Sikamineas, dove avviene la maggior parte degli sbarchi.

Ci si arriva passando da una strada sterrata di poco più di un chilometro. Il mio percorso mi porta vicino al mare dove qui e là si trovano ancora salvagenti sulle coste.

Nella valle ci sono cinque piccole stalle per le capre, una in muratura, tre in lamiera, l’ultima, la più lontana, in legno.

Il silenzio assoluto è interrotto raramente dallo scampanio di una capra, da un cane a guardia di una stalla, dal parlottare dei due cittadini locali che raccolgono legna, vestiti, e una borsetta bianca…

Quando mi avvicino alle colline mi appunto un elenco non esaustivo di oggetti rinvenuti: salvagenti di diversi formati, giubbotti di salvataggio integri, giubbotti di salvataggio sventrati, resti di gommoni, scarpe, scafi in legno.

Sistemare ciò che rimane dell’arrivo dei migranti in questo posto non è stata una scelta delle autorità, ma dei cittadini delle coste vicine, che hanno deciso di nascondere il più velocemente possibile quanto accade.

Quando ti avvicini l’arancione non ti abbaglia più, ti pare solo di essere davanti a una discarica. Così continuo il mio elenco non esaustivo degli oggetti «nascosti»: una escavatrice abbandonata, blocchi di cemento, poltrone, divani, tavoli, materassi, bombole del gas, gabinetti e lavandini in ceramica, un seggiolino per bambini da auto, bottigliette e bottiglie d’acqua, cassette per la frutta, fogliame, una statua da giardino di Venere in gesso, pneumatici, sacchi di lana, due rotoli di moquette.

C’è un gatto, ci sono due cittadini che recuperano legna. E un giubbotto di salvataggio, di nuovo, questa volta da bambino, giallo con sopra disegni colorati di polipi.

Le due colline di giubbotti sono impressionanti ed evocative.

Mi riportano subito alla mente il «cimitero delle barche» di Lampedusa. Qui, come nella nostra isola, si è trovato uno spazio «perché da qualche parte bisogna pur ricoverare questa roba».

Oggi, in qualche modo, entrambi i luoghi sono mete di «pellegrinaggio». E potrebbero diventare davvero dei musei a cielo aperto.

Dietro ogni giubbotto c’è una storia. Dietro ogni barca rovinata la vita di qualcuno che non c’è più o il racconto di una nuova esistenza.

(*) Ex europarlamentare del Pd, Daniele Viotti è nato ad Alessandria nel 1974. Con la serie “Il diario di Lesbo” racconta ai nostri lettori la vita quotidiana nell’hotspot più famigerato d’Europa

Sorgente: Il cimitero dei salvagenti: a Lesbo due colline di color arancione evocano storie di fughe e naufragi – La Stampa

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