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Conte e i due Matteo (Renzi e Salvini): non sopporto i prepotenti

Il premier ribadisce che non lascia la delega: «Sono più duro di Craxi a Sigonella»

di Massimo Franco

«Giuseppe Conte non delegherà nulla. La responsabilità sui servizi segreti spetta al premier. E in questa fase si tratta di una questione dirimente. Non conviene affidare gli apparati di sicurezza a persone che rispondono ad altri. È una garanzia per tutti…». A Palazzo Chigi si sono tolti i guanti ed è stata messa da parte almeno temporaneamente la flemma. La guerra ai «due Matteo», Matteo Salvini e Matteo Renzi, uno capo della Lega, uno formalmente alleato di Conte, è cominciata: sebbene il presidente del Consiglio la consideri una guerra difensiva, e cerchi la tregua. L’impressione è che ritenga il leader della destra e l’ex premier che ha spaccato il Pd accomunati dalla fretta: la fretta di far cadere il governo. Ma «a me», ripete il presidente del Consiglio, «non piacciono i prepotenti».Per il capo del Carroccio, vedere implodere entro il 2020 la maggioranza M5S-Pd, con gli addentellati di Leu e Italia viva, è indispensabile per non dovere rivedere tutta la sua strategia elettorale. Per Renzi, osservano a Palazzo Chigi, liberarsi di Conte significa sperare di avere una qualche attrattiva presso i ceti moderati, oggi attenti alle mosse e allo stile del premier. Il fatto che Italia viva oscilli, nei sondaggi, tra il 3 e il 4 per cento, è un presagio di irrilevanza da esorcizzare in fretta: marcando le distanze dal governo in modo quasi ossessivo; e sottolineando un’identità corsara che però, al momento, sta dando frutti avvelenati.

Offensiva notata dal Quirinale

Quando Renzi dice che l’orizzonte è il 2023, gli scongiuri sono trasversali. Il suo vero orizzonte, si obietta, è di una manciata di mesi. E quando fa capire che sarebbe pronto a incontrare Conte e accordarsi con lui, descrivono un presidente del Consiglio gelido. «Nessuno deve avere una golden share sul governo», reagisce. Per lui «del governo fa parte anche Liberi e uguali, c’è la piena dignità di tutti: anche di chi fa meno rumore. Sento tutti, Renzi come Roberto Speranza, che apprezzo anche per il suo modo di porgersi». E poi, nell’ottica di Palazzo Chigi Renzi critica i provvedimenti del governo dopo essere stato quattro anni; e senza avere fatto quello che ora rimprovera agli altri di non fare. Gli attacchi renziani prima sulla manovra economica, poi sui servizi segreti sono considerati una rivelazione e insieme una conferma. Per il vertice del governo, certificano la sua strategia di logoramento. Verso Conte, e verso il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri: un’offensiva notata e annotata anche dal Quirinale, preoccupato dalla spregiudicatezza e dai metodi di Italia viva. Il premier insiste su una manovra finanziaria che combatta l’evasione fiscale. Ha anche affidato a un gruppo di studiosi il compito di abolire «le tasse sterili, che appartengono a un’epoca passata e non hanno più ragione di essere. Vanno eliminate», secondo Conte, «perché non danno gettito e per semplificare i rapporti con il fisco».

«A fare il Salvini è Renzi»

Sulla rimodulazione dell’Iva sembrava esserci un accordo di massima tra tutti, si sostiene. Ma Renzi ha scartato, offrendo a Salvini un’arma polemica contro il governo «che vuole aumentare l’Iva», per apparire come il partito che l’aveva sventata. A ruota, è arrivata l’offensiva sui servizi segreti prima ancora che Conte si presenti al Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. In un momento in cui il premier è sotto tiro per avere autorizzato incontri tra gli apparati di sicurezza italiani e statunitensi, «in modo linearissimo», l’alleato gli ha chiesto di chiarire. E ha anche aggiunto che dovrebbe dare la delega sugli 007 a un sottosegretario. Poco importa che l’effetto sia stato opposto. Conte rivendica di avere sempre difeso l’interesse nazionale. «Io non sono servo di nessuno. Sono più duro perfino di quanto fu Bettino Craxi a Sigonella», si difende citando l’episodio risalente all’ottobre 1985, quando l’allora premier socialista difese il territorio italiano entrando in conflitto con i servizi segreti statunitensi. L’esito del protagonismo corsaro di Iv, così, è stato di individuare dentro il governo, e non solo fuori, i potenziali guastatori di un’alleanza già difficile. «Pensavamo di doverci guardare le spalle da Salvini, e perfino da Luigi Di Maio», ministro degli Esteri e capo grillino contestato. «E invece, a fare il Salvini è Renzi», accusano M5S e Pd.

Paragone freudiano

«Renzi», arrivano a dire i più ostili, «è peggio di Salvini…». Chi l’avrebbe previsto? Dopo poco più di un mese di governo, c’è chi quasi rimpiange l’alleanza con la Lega. A giorni alterni, la rabbia tracima o rientra, a seconda se si abbozza una tregua o riesplode il conflitto. A Palazzo Chigi c’è chi prevede che, «se continuano le provocazioni, Conte andrà in Parlamento e chiederà la fiducia». Schema facile da enunciare, meno da applicare. Ma a puntellarlo è la convinzione che «Conte non è come Romano Prodi quando guidava i governi dell’Unione. Ha dietro M5S, gran parte del Pd, sindacati, Chiesa cattolica. Ed Europa». Paragone freudiano e di per sé un po’ scivoloso.

Sorgente: corriere.it

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