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Le condizioni di salute dei due detenuti sono precarie, denuncia il ministro degli esteri giordano. In particolare di Al Labadi che 37 giorni attua uno sciopero della fame ed è stata ricoverata in ospedale già tre volte. A suo sostegno è stata lanciata una campagna promossa dalle principali organizzazioni palestinesi per i diritti dei prigionieri. «Mettere in pericolo la vita dei nostri cittadini – proclama Ayman Safadi – è una cosa che condanniamo con forza. Prenderemo in considerazione ulteriori forme di protesta nei confronti di Israele affinché (i suoi leader) capiscano che non intendiamo passare sopra a quanto accaduto».

Heba al Labadi è stata arrestata il 20 agosto mentre dalla Giordania entrava nella Cisgiordania sotto occupazione militare israeliana per partecipare al matrimonio di amici a Jenin. Israele sostiene che avrebbe avuto contatti con esponenti del movimento sciita Hezbollah, in Libano. La giovane smentisce e afferma di aver solo scambiato qualche parola, in un’occasione pubblica, con un redattore di Radio al Nour, l’emittente di Hezbollah. L’avvocato ha denunciato gli interrogatori interminabili sostenuti dalla giovane giordana che avrebbe subito anche torture fisiche. Poi il 25 settembre è arrivata la “detenzione amministrativa” per cinque mesi, una condanna senza processo alla quale Heba al Labadi ha reagito iniziando lo sciopero della fame. La sua famiglia è molto preoccupata, anche perché nel 2010 la ragazza aveva dovuto affrontare un cancro. L’arresto dell’altro cittadino giordano risale al 2 settembre e sarebbe motivato sempre da non meglio precisate «ragioni di sicurezza».

Il governo giordano intanto ha fatto sapere di aver arrestato un israeliano che ha cercato di entrare illegalmente nel Paese attraverso il confine settentrionale. Amman smentisce che il fermo sia collegato alla vicenda di Al Labadi e Marai. Tuttavia il presidente della commissione degli affari esteri del parlamento giordano, Nidal a-Taani, ha detto alla stampa che «l’arresto dell’israeliano può essere merce di scambio per il rilascio dei nostri due cittadini».

Sorgente: Caso Al Labadi, Israele e Giordania ai ferri corti | il manifesto

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