″È una sconfitta ma non è la fine di un’èra”. Quando risponde al telefono Luciana Castellina si trova ad Atene, a piazza Syntagma, presidio di Syriza. “Aspetti che mi sposto perché qui c’è chiasso”. Giornalista, fondatrice del Manifesto, quattro legislature da parlamentare sempre a sinistra, comunista, Castellina prova ad analizzare a caldo il voto delle elezioni politiche greche che hanno premiato il partito di destra, Nea Demokratia, di Kiryakos Mitsotakis e segnato la fine dell’esperienza di governo del partito di Syriza.
Onorevole Castellina, lei non solo ha guardato con interesse, ma si era anche candidata con Syriza all’Europarlamento. Per quale ragione ritiene che non si possa parlare della fine di un’èra?
Ragioniamo. Dobbiamo tenere conto che quando Syriza è andata al governo la sua vittoria è stata singolare, inaspettata. Era difficilissimo immaginare che, dopo quattro anni di una politica dura, con un memorandum feroce e con le misure imposte dalla Troika, Syriza sarebbe stata la seconda forza del Paese.
In ogni caso rimane una sconfitta.
Sì, è vero. Ma un risultato del genere in Italia se lo sogna il Pd. E lo stesso si può dire se guardiamo ai risultati della sinistra in Europa: in Germania l’Spd ha perso molto, il partito socialista francese è ai minimi termini. Mentre Tsipras ha resistito nonostante il Paese fosse bombardato dalle fake news. E svetta nei quartieri popolari. Basta guardare i dati che arrivano dal Pireo.
La Grecia, però, resta un Paese povero. Ecco, quali sono a suo avviso gli errori commessi da Tsipras?
Non credo abbia commesso errori. A parte una operazione coraggiosa che ha ripudiato qualsiasi atto di demagogia e popolarità. Al contrario di quanto stanno facendo la Lega e il M5S. E poi diciamola tutta: ha ragione Tsipras quando nel corso del suo ultimo comizio dice così: “Noi non chiediamo una seconda opportunità, ma la prima”.
La destra che vince in Grecia è sovranista come la Lega di Salvini?
No, non è sovranista: è una destra più tradizionale. È la stessa destra che ha creato il debito e che adesso propone una ricetta economica demagogica che porterà ad un aumento delle disuguaglianze.