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Dopo la Banca centrale dell’Australia e quella della Nuova Zelanda che hanno già ridotto il costo del denaro, il mercato sconta ormai un intervento (di un quarto di punto), mercoledì, anche da parte della Federal Reserve. Il progressivo allentamento monetario globale sosterrà ancora il prezzo del metallo giallo che Ubp vede a 1.600 dollari nel corso del prossimo anno

di Paola Valentini

Dopo aver oscillato, per i primi cinque mesi del 2019, attorno a quota 1.300 dollari l’oncia, a giugno il prezzo dell’oro è aumentato del 10%, salendo fino a 1.430 dollari alla fine del mese. Nel corso di luglio è rimasto sempre sopra quota 1.400 e al momento tratta a 1.420 dollari. “Le ricerche su Google attraverso le parole chiave prezzo dell’oro sono aumentate di quasi il 100% a giugno, indicando la velocità, la sorpresa e l’entità dell’impennata del prezzo del metallo giallo”, osserva Peter Kinsella, global head of forex strategy di Union Bancaire Privée (Ubp).

E’ stato un rialzo repentino avvenuta in concomitanza con la prospettiva di una politica monetaria più espansiva annunciata dalla Fed seguita da una medesima dichiarazione della Bce, dopo che per gran parte del 2018 a dominare erano stati invece i timori di un rialzo dei tassi. Non a caso l’oro aveva toccato un minimo nell’agosto dello scorso anno sotto quota 1.200 dollari. Tassi più bassi sono favorevoli per l’oro perché riducono il costo-opportunità di non detenere asset che danno rendimento, come le obbligazioni.

E queste prospettive che stanno per diventare realtà perché, come sconta ormai il mercato, nella sua riunione di mercoledì il Fomc, il braccio operativo della Fed, dovrebbe tagliare i tassi dello 0,25%. Si tratterebbe del primo intervento al ribasso dal dicembre 2008 per l’Istituto centrale ora guidato da Jerome Powell, ovvero da quando il suo predecessore Ben Bernanke, nel pieno della crisi dei mutui subprime, portò i tassi per la prima volta sotto l’1% tagliandoli praticamente a zero.

Ma diversamente da allora, oggi l’economia Usa non è nella bufera, cresce al ritmo di oltre il 2% e soprattutto l’intervento sui tassi sarebbe una misura preventiva, per scongiurare l’impatto della guerra dei dazi sull’economia Usa alla vigilia del 2020 quando si terranno le prossime presidenziali. Tra aprile e giugno l’economia Usa è cresciuta del 2,1%, meglio del 2% atteso, anche se sotto il +3,1% registrato tra gennaio e marzo.

“Storicamente, i prezzi dell’oro si muovono in maniera inversa rispetto ai tassi di interesse reali statunitensi. Poiché il tasso dei Fed funds è solo del 2,5%, l’entità dei possibili tagli dei tassi è piuttosto limitata rispetto alle precedenti recessioni economiche. Ciò significa che la Fed potrebbe mettere in campo nuovamente le sue politiche di quantitative easing, il che implica un elevato rischio di grave debolezza del dollaro Usa e, di conseguenza, un aumento significativo dei prezzi dell’oro nei prossimi trimestri”, commenta l’esperto di Ubp.

Dal canto suo, nella riunione dello scorso 25 luglio, la Bce ha indicato che nei prossimi mesi ridurrà ulteriormente il tasso sui depositi oggi al -0,4%. Questo riflette un’inflazione contenuta e una crescita debole dell’economia dell’Eurozona. Le previsioni di consenso suggeriscono che la Bce taglierà il tasso sui depositi di 10-20 punti base. Si tratta di un’evoluzione molto costruttiva per il prezzo dell’oro, in quanto i costi fisici di stoccaggio dell’oro sono meno costosi del tasso negativo della Bce. Di conseguenza, molti investitori potrebbero essere tentati di acquistare oro fisico in alternativa al deposito di denaro presso la Bce”, aggiunge Kinsella.

Accanto ai tagli, anche le eventuali ulteriori misure di stimolo di Francoforte, “andranno a vantaggio del prezzo dell’oro. In particolare, la Bce potrebbe riprendere il suo programma di quantitative easing e questa volta potrebbe includere acquisti di debito bancario, non solo di debito sovrano”, sostiene Kinsella.

Accanto a Fed e Bce, anche le altre banche centrali propendono oggi per un allentamento monetario visto il rallentamento economico globale e la riduzione delle stime di crescita dell’economia mondiale (da ultime quelle dell’Fmi). Finora quest’anno la Reserve Bank of Australia e la Reserve Bank of New Zealand hanno ridotto i tassi di interesse a causa della bassa inflazione.

“Su scala globale, il ritorno di un allentamento monetario aggressivo da parte delle banche centrali mondiali è chiaramente una buona notizia per il prezzo dell’oro e aumenta la possibilità di esplosivi movimenti al rialzo verso la fine dell’anno, in particolare se le maggiori banche centrali mondiali si orientano verso la ripresa del Qe. Ciò non è ancora completamente prezzato dai mercati”, commenta il gestore.

Non solo. A remare a favore del prezzo del metallo giallo ci sono gli acquisti delle banche centrali. “Molte banche centrali dei paesi in via di sviluppo continuano a diversificare il loro mix di riserve e l’oro continuerà a rappresentare una quota maggiore di tale mix. La Banca centrale russa e quella cinese continueranno ad aumentare le loro riserve auree nel tempo, e quindi continuerà ad esserci una discreta domanda sottostante a sostegno del prezzo dell’oro. Nel complesso, siamo abbastanza positivi sul metallo giallo e ci aspettiamo che il suo prezzo si sposti facilmente verso i 1.600 dollari l’oncia nel corso del prossimo anno”, prevede Kinsella

Sorgente: Dove andrà l’oro in vista del primo taglio della Fed da fine 2008 – MilanoFinanza.it

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