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Giorgia Linardi, portavoce della ong, parla della nave bloccata al largo di Lampedusa con un invito al leader della Lega: “Vorrei si rendesse conto di cosa avviene in mare”

Sea Watch
(foto: Sea Watch 3)

Come siamo cambiati in questi due anni, ce lo dicono anche i soprannomi che le abbiamo dato: “Madonnina del soccorso”, “pirata umanitaria”, “Lady Ong”. E, in un crescendo di volgarità, “la negriera”, “la schiavista” e un “sacco di altre cose irripetibili”, spiega lei stessa.

Ogni volta che ha un dubbio o prova sconforto, Giorgia Linardi, 30 anni, a capo di Sea Watch Italia, si guarda i palmi delle mani: “È dove si appiccicò la pelle di una ragazza come me. Una migrante.

La caricammo a bordo che era quasi morta, ustionata dalla miscela di benzina e acqua salata. Gli facemmo a turno il massaggio cardiaco. Dopo che morì, mi guardai le mani: avevo le sue strisce di pelle addosso. Quando Matteo Salvini dice quelle cose là, io mi guardo le mani e mi dico che non va bene. Che sto facendo la cosa giusta”.

La portavoce della Sea Watch ricorda e rivendica, tra una riunione e l’altra condotta con il team della ong. Da una settimana la loro nave è bloccata a 15 miglia da Lampedusa, con a bordo 43 immigrati soccorsi al largo della costa libica. Non può sbarcare in un porto italiano, visto il divieto di ingresso, transito e sosta nelle acque italiane firmato dal vicepremier Matteo Salvini. E non può andare in Libia, come auspicato dal leader della Lega stesso, che nelle ultime ore si è fatto beffe delle traversie dell’equipaggio (dicendo, tra l’altro, che “se ne frega delle leggi e delle vite”). “Perché”, racconta Giorgia, “quello di Tripoli non è un porto sicuro”.

Chi lo decide che non è un porto sicuro?

“Il diritto internazionale, l’Onu, l’Unhcr, l’Europa, giusto per fare qualche esempio”.

Andiamo con ordine, visto che il ministro dell’Interno vi accusa di aver fatto retromarcia sulla questione dello sbarco in Libia.

“Martedì 11 giugno riceviamo la notizia di un avvistamento di un’imbarcazione in difficoltà. Iniziamo i soccorsi e informiamo le autorità di quattro nazioni: la Libia, paese di competenza in quell’area Sar; l’Olanda, nostro stato di bandiera; Malta e Italia, paesi dotati dei porti sicuri più vicini. La guardia costiera libica assume a sorpresa il coordinamento dell’operazione”.

Una volta che le persone sono a bordo, chiedete un porto dove attraccare. 

“Come da protocollo, inviamo una mail alle stesse quattro autorità. Ma a sorpresa ci rispondono i libici: il porto sicuro, dicono, è Tripoli”.

Avevano mai offerto un porto?

“Mai”.

Sea Watch 3
(foto: Sea Watch 3)

Dica la verità, in questa svolta ci vede un trappolone di Salvini. Aprire il porto di Tripoli di concerto con i libici, per costringervi a dire di no e fare la figura degli incoerenti. 

“Non posso dirlo. Dico però che l’Italia sta offrendo un supporto logistico e di intelligence sempre più prezioso alla Libia. E che il ministro Salvini è rimasto parecchio irritato quando a maggio la Sea Watch 3, da lui bloccata in mare, è stata autorizzata a sbarcare in Italia dai magistrati”.

Lui ha definito voi dei sequestratori…

“Chi parla e legifera non ha idea di cosa sta parlando”.

Lo inviterebbe su una delle sue navi?

“Mi piacerebbe si rendesse conto di cosa avviene in mare. Perché se vedi una persona in difficoltà e non corri a prenderla, non sei un essere umano. Se dopo una missione in mare resti su quella linea là, sei qualcos’altro”.

Ci verrebbe, secondo lei?

“No. In questi mesi non ha mai cercato un dialogo diretto, solo la provocazione”.

E ha funzionato. Negli ultimi mesi sempre più elettori simpatizzanti del governo vi hanno accusato di varie colpe. In ordine sparso: incoraggiate le partenze dall’Africa.

“Peccato che lo scorso mese, in cui non c’era nessuna nave ong, siano partite per il mare ben 3mila persone”.

(foto: Sea Watch 3)

Siete un ostacolo all’unica soluzione: aiutarli a casa loro.

“Al contrario: siamo per aiutarli a casa loro anche noi. E, nel frattempo, per aiutarli in mare”.

Ancora oggi, con improbabili ricostruzioni apparse su alcuni quotidiani sul suo stipendio: Lo fate per soldi. Lei quanto guadagna?

“Molto meno di quanto dovrei”.

Addirittura?

“Ci dedico la mia vita, avrei i titoli per fare professioni ben più remunerate».

E invece?

“Faccio questo per responsabilità verso tutti quelli incontrati in mare. Verso le donne della mia età che mi sono morte in mano. Verso la pelle di quella ragazza”.

Sorgente: Sea Watch: “Salvini, vieni a vedere cosa succede in mare” – Wired

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