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Questo il primo atto del nuovo sindaco di Ferrara: appendere una bandiera della Lega sullo striscione giallo che chiede verità e giustizia per Giulio Regeni. Un gesto minimo, ma che riassume con rara potenza tutto ciò che è oggi la Lega.

Che dimostra uno spaventoso impasto di volgarità, rozzezza, odio per presunte enclavi radical chic, disprezzo per tutte le battaglie più nobili sostenute non dalla sinistra istituzionale, ma da quella sinistra diffusa che continua a mobilitarsi sui temi dei diritti civili, della giustizia, delle battaglie ideali, del volontariato.

Che alla rappresentatività sostituisce il paternalismo (“siete tutti miei figli”), e chiede ai “figli” di affidarsi ciecamente, in un’adesione pre-razionale, emozional-viscerale (anzi, francamente gastrica), irriflessiva e che promette d’essere liberatoria (appunto) come una purga.

Che a strategie economiche sostituisce misure miracolistiche e, soprattutto, semplici da comunicare, condensabili in un hashtag, uno slogan, una sola parola magica, un incantesimo (flat tax, minibot) che faccia saltare la fastidiosa riflessione e possa consegnarsi allo slogan, all’urlo sempre più disarticolato.

Che, in continuità col peggiore berlusconismo (di cui è stata costola per tutto il tempo, fingendo però adesso, incredibilmente, assoluta verginità istituzionale), fa gli interessi dei più ricchi, ma si finge amica del popolo, ostentando modi plebei e disprezzando ogni presunta élite, individuata non per censo, interessi economici forti, privilegi reali ma unicamente per sospetto intellettualismo: i “professoroni”, gli esperti, i titolati, i competenti certificati (e questa è una delle – pochissime – collusioni con il magma complottista e antiscientifico dei pentastellati).

Che amoreggia coi poteri forti (le vere élite dell’economia), ma si nasconde dietro la cortina – spessa – della “sicurezza”, alimentando fino al parossismo i fantasmi dei “nemici” del popolo: primi i migranti, i poveri, gli emarginati, poi tutte le “potenze” sovranazionali (la finanza, l’Europa). Che crea un bisogno fittizio di sicurezza (distogliendo ogni attenzione dai fronti di vera, tragica insicurezza: la disuguaglianza sociale, la minimizzazione dei diritti, la questione climatica, le migrazioni come fenomeno epocale e mondiale che ci sta coinvolgendo ma all’opposto di come crediamo) e risponde agitando le forche della giustizia sommaria, forzuta e approssimativa (la legittima difesa, i porti chiusi).

Che al controllo democratico (faticoso, basato sull’acquisizione di competenze, sull’esercizio attivo della cittadinanza) sostituisce il controllo di polizia. Che al dissenso risponde con la repressione.

Che va orgogliosamente all’indietro, verso il baratro, trascinando un Paese che la segue applaudendo.

Scusaci, Giulio, se non abbiamo saputo evitarlo.

Sorgente: Scusaci, Giulio, se non abbiamo saputo evitarlo | L’HuffPost

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