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Qu Dongyu eletto direttore dell’agenzia per la lotta alla fame. È la prima volta di un Paese comunista. Voci su un sostegno di Roma

francesca paci, francesca sforza
roma

«Saremo neutri e imparziali» annuncia il vice ministro cinese dell’Agricoltura e biologo Qu Dongyu dopo essere stato eletto direttore generale della Fao, l’agenzia Onu per l’alimentazione e l’agricoltura che detiene il fascicolo «fame nel mondo», vale a dire l’emergenza da 821 milioni di persone che, al netto di tanto wishful thinking, le Nazioni Unite vorrebbero annullare entro il 2030.

Con 108 preferenze su 191 Paesi partecipanti il 56enne Qu ha sbaragliato al primo turno gli avversari, la francese candidata dell’Unione Europea Catherine Geslain-Lane’elle (71 voti) e il georgiano sponsorizzato da Washington Davit Kirvalidze (12 voti). Ad agosto il neo direttore, il primo espressione di un governo comunista, s’insedierà nell’edificio romano pensato da Mussolini come ministero per l’Africa italiana al posto del predecessore brasiliano José Graziano da Silva. E qui comincia l’avventura. Sì, perché con la vittoria di ieri Pechino s’impone tanto sulla ricompattata Ue quanto sull’avversario americano già ingaggiato nella guerra dei dazi e, approfittando della frattura atlantica del fronte occidentale, guadagna un asset strategico rispetto all’Africa dov’è già assai presente con le infrastrutture legate alla Belt and Road Initiative, la Via della Seta.

«L’Italia vuole lavorare insieme per attivare subito il polo romano Onu dell’alimentazione» twitta a stretto giro il ministro degli Esteri Moavero Milanesi seguito, nelle congratulazioni a Qu, dal premier Conte, il ministro per le politiche agricole Centinaio e la sindaca di Roma Raggi. Ufficialmente il nostro Paese tace: essendo sede della Fao ha mantenuto un riserbo assoluto sulla sua scelta.Fonti ufficiose lasciano intendere però che, sebbene sia «difficile immaginare che l’Italia abbia tradito il candidato dell’Ue», tuttavia «all’ultimo minuto» si sarebbe orientata su Qu in linea con la recente firma del memorandum sulla Via della Seta tra Roma e Pechino ma anche con una prassi consolidata per cui all’ospite conviene sostenere il favorito a meno di volerselo inimicare in vista delle nomine del board.

Il direttore della Fao viene eletto a scrutinio segreto ma da mesi infuria la battaglia per un ruolo a forte vocazione multilaterale, rispetto al quale la simbiosi tra il Partito-Stato e i diplomatici di Pechino apre in occidente molte perplessità. In più, la massa di lobbysti cinesi che affollavano ieri i corridoi a ridosso del voto fino a convocare in serata i delegati del G77 per chiedere loro conto dei colloqui avuti con i colleghi stranieri, racconta una campagna senza esclusione di colpi.

Fonti dell’Onu spiegano però che più di Qu ha vinto «il sistema Cina, un intero Paese spesosi in modo capillare per ciascuno dei 108 voti». Già a marzo, dopo il ritiro del candidato di Yaoundé Moungui, si mormorò di un debito di 62 milioni di euro saldato al Cameruni n cambio del voto. E secondo «Le Monde» Brasile e Uruguay sarebbero stati minacciati con «il bando delle loro esportazioni agricole verso la Cina». Ma al di là delle maniere forti, Pechino ha messo di certo sul tavolo investimenti reali e la condivisione di alcune emergenze con larga parte del mondo in via di sviluppo. La Cina ha bisogno di «food commodities» più di ogni altro, anche per accreditarsi in un sistema dove vige il rispetto di precisi standard. Ed essendo su questo in linea con giganti demografici come India, Africa e Sud Est asiatico, è facile che sia stata più persuasiva di Parigi. Non è inoltre irrilevante l’esperienza maturata nell’agenzia Onu per lo sviluppo industriale (Unido), guidata dal 2013 da Li Yong, ex vice ministro delle Finanze e perno dell’agro-food in Africa. «Hanno imparato a usare il sistema a loro vantaggio – chiosa un funzionario di Vienna -, l ’Unido è stata per loro una grande scuola».

Sorgente: La Cina si prende la Fao. Battuti Usa e Unione europea – La Stampa

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