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Tav, Conte prende il dossier. E Di Maio vuole una «tregua» da Salvini

La strategia del premier, i tempi per l’opera incombono e le Europee si avvicinano. I leghisti però avvertono: arriverà il redde rationem

di Marco Cremonesi e Alessandro Trocino

Che questa mattina a Palazzo Chigi si metta una volta per tutte la parola fine all’affaire Tav è difficile. Però, qualcosa dovrà uscire dal vertice tra il premier Conte, i suoi due vice Di Maio e Salvini e il ministro Toninelli. I tempi dell’opera incombono e quelli delle Europee ancora di più. Il premier ha deciso di fare un passo avanti e di prendere in mano la gestione del dossier, provando a mediare tra le posizioni: «Troveremo una soluzione razionale e ragionevole».

I 5 Stelle sanno che hanno poche carte da giocare per bloccare davvero la Tav, senza un passo indietro di Salvini. Per far fronte alla possibile emorragia di voti alle Europee, Di Maio deve arrivarci con qualcosa di più in mano. Per questo, sta insistendo con la Lega perché accetti un basso profilo. Ai suoi dice parole che suonano anche come un avvertimento: «Siamo stati corretti finora con Salvini, gli abbiamo dato tante volte una mano. Ora mi aspetto che sia lui a fare un passo. Anche perché ci sono ancora tanti provvedimenti che la Lega vuole portare a casa, dalla legittima difesa all’autonomia». E in caso di dissidio, chissà. Salvini arriva al vertice «molto tranquillo, ma determinato nel vedere un passo avanti». L’obiettivo di Conte è escogitare una sintesi, per quanto provvisoria, che consenta a entrambi di cantare vittoria. I 5 Stelle insisteranno per il tracciato alternativo del Frejus e per non dare il via libera ai bandi.

Ad accrescere il nervosismo della Lega, ci sono le prime mosse del segretario Pd Nicola Zingaretti: il primo atto pubblico del neo eletto è stato puntare diritto su Torino e, a fianco di Sergio Chiamparino,lanciare la sfida sulla Tav, «simbolo nazionale delle divergenze nel governo». Punto numero 2, forse ancora più politicamente rilevante: «La Lega di Salvini è contro gli interessi del Nord e contro gli interessi produttivi». Salvini commenta secco: «Zingaretti è il vecchio che ritorna. Un film già visto, con la solita sfilata di vecchi vip, dalla Ferilli a Benigni». Insomma, l’offensiva è partita e i leghisti lo sanno: il nervo dell’alta velocità è scoperto e i dem non daranno tregua. Al punto che molti salviniani guardano alla mano salvifica della Telt: «Non è che fare i bandi ci legherebbe mani e piedi alla realizzazione dell’opera», riflette un leghista di primissima cerchia. Come dire: se la Telt si prendesse la briga di indire i bandi, toglierebbe alla Lega le classiche castagne dal fuoco. E nel partito si dà per scontato che ciò avvenga. A quel punto, i leghisti per le Europee potrebbero rivendicare per la Tav passi concreti. E i 5 Stelle sostenere che i bandi non sono definitivi. Troppo? Forse. E infatti nel partito a dirlo sono ormai in parecchi: «Il redde rationem del governo dovrà arrivare. Non possiamo continuare a essere ostaggio di posizioni incomprensibili». Un redde rationem rinviato a data da destinarsi. Ma che ormai neanche i 5 Stelle escludono più con troppa forza.

Un casus belli potrebbe riguardare Toninelli. La sua gestione dell’affaire Tav è considerata disastrosa dai vertici. E ora il ministro rischia di trovarsi da solo ad affrontare la rabbia dei parlamentari No Tav. Questa mattina il Pd presenta una mozione di sfiducia alla Camera e una al Senato. Alle 16 il capogruppo a Palazzo Madama Andrea Marcucci chiederà nella capigruppo che la presidente Casellati calendarizzi d’urgenza la mozione al Senato. Non è detto che l’ottenga, ma nel caso in cui l’opposizione sia unita nella richiesta, è difficile che venga respinta. Forza Italia sarebbe d’accordo, mentre manca il via libera da Fratelli d’Italia. Se la mozione arrivasse al Senato dopo il via libera ai bandi, Toninelli potrebbe diventare il capro espiatorio. Alcuni senatori — dalle dissidenti in odore d’espulsione Paola Nugnes e Elena Fattori, all’irrequieta Virginia La Mura fino al No Tav Alberto Airola — potrebbero decidere di votare contro di lui. E la maggioranza esigua potrebbe mancare, facendo cadere il ministro dalla sua poltrona.

 

Sorgente: corriere.it

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