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È stata prima di tutto una protesta globale. Nell’epoca del sovranismo, del ritorno a muri e barriere varie, agli stati nazionali e agli interessi particolari, nell’epoca del “mi salvo da solo, gli altri si fottano”, qualche milione di ragazzi ha capito che i problemi che abbiamo davanti sono di una tale scala che si risolvono solo se agiamo uniti su una scala globale. Non serve a nulla fermare l’inquinamento in un paese se quello confinante se ne infischia. I muri fra i paesi non fermano i povericristi figuriamoci  l’anidride carbonica. C’è una globalizzazione virtuosa che dobbiamo perseguire invece di mettere i sacchetti di sabbia alla finestra e diffidare di tutti. Il sovranismo a buon mercato potrà farci sentire al sicuro ma non ci salverà.

È stata una protesta di ragazzini, “kids” in inglese, ma generazionalmente inclusiva. Che non ha rottamato gli adulti. Ci ha messi sotto accusa certo, per non aver fatto abbastanza finora per salvare il pianeta, ma il messaggio era: papà, mamma, venite a cambiare il mondo con noi perché da soli non ce la possiamo fare. Un atto di realismo: i giovani sono numericamente pochi, almeno nel mondo occidentale dove si fanno pochi figli, e non hanno le leve del potere. Per un cambio di rotta serve un’alleanza senza barriere, nemmeno quelle di età. La rottamazione generazionale è stata a sua volta rottamata.

È stata una protesta digitale ma che ha combinato alla perfezione la vita online e offline. Il messaggio di Greta Thunberg senza i social non sarebbe arrivato in ogni angolo del mondo in così poco tempo, ma il mondo non si sarebbe mobilitato senza quel suo gesto fisico, terreno, ripetuto ossessivamente, testardamente, di andare ogni venerdì a manifestare davanti al Parlamento svedese. Come rain or come shine, con la pioggia o con il sole. Il messaggio non erano le parole. Il messaggio era la sua foto con gli occhi spiritati e la testa coperta da un cappuccio impermeabile giallo, che diceva: fate come me. Io non ho paura.

È stata una protesta che chiede, anzi pretende, un nuovo modello economico: industriale e produttivo. Quel modello esiste: si chiama economia circolare. Vuol dire consumare di meno, far durare i prodotti più a lungo e soprattutto non considerare rifiuti i rifiuti ma trattarli come materie prime con cui realizzare qualcos’altro. Non si tratta più di una visione pauperista. Oggi le tecnologie, e in particolare le nanotecnologie, ci consentono di farlo. Si possono creare “smart materials” con quelli che un tempo consideravamo scarti, riducendo in questo modo anche i rifiuti da smaltire. Non ci sono alibi per non farlo. Lo dice il papa, da anni (“Laudato sii”). Ma ora che lo dice anche Greta è anche meglio.

È stata una protesta che partiva da una premessa sottintesa eppure fortissima. Non la lotta al riscaldamento globale, quello è l’obiettivo. La premessa era: diamo retta agli scienziati, uniamoci dietro alla scienza. Nell’epoca che ha sancito la fine della competenza, la crisi degli esperti, il tramonto delle elìte, questi ragazzi hanno chiesto con forza il ritorno di una sola elìte: quella degli esperti competenti. La politica, ci hanno detto, riparta da qui. Dagli scienziati. I fatti, i numeri, le analisi. La conoscenza. Rivoluzionario (fateci caso: in Italia ci siamo affrettati a dire che sono scesi nelle nostre piazze un milione di persone, calcolate chissà come. Lei, Greta, le sta ancora contando, piazza per piazza).

Infine è stata una protesta che ha rimesso al centro l’individuo, nel senso che è partita da una persona, Greta, che ha dimostrato come provare a cambiare il mondo non solo è possibile ma doveroso, e tutti possiamo fare la nostra parte. Basta pensare che è sempre colpa degli altri. Basta stare a guardare e lamentarsi sui social delle cose che non vanno. In quel gesto di Greta, imitato ogni settimana da un numero sempre maggiore di adolescenti, c’era qualcosa del famoso discorso di un presidente americano: “Non chiedetevi cosa il vostro paese può fare per voi, ma cosa voi potete fare per il vostro paese”. Sostituite “paese” con “pianeta terra”, e il senso è lo stesso. Ciascuno di noi può fare qualcosa per avere un mondo migliore. Mai visto uno spot così potente contro la rassegnazione. Ai cinici di casa nostra è rimasta la soddisfazione di chiamarli “gretini” i ragazzi che hanno scioperato per il clima. Ma, per la prima volta dopo una vita, hanno perso.

Per questo per me la foto simbolo di questo indimenticabile 15 marzo 2019 non è Greta, non sono le piazze di tutto il mondo invase di colori e di ragazzi, di speranza e di sogni. La foto più potente è il tweet di una mamma irlandese, che ha fotografato il figlio il giorno dello sciopero. Dietro si vede una scuola, la scuola di Carrick on Shannon, e in primo piano lui, JJ, capelli neri con una frangia lunghissima, occhiali da vista neri con una montatura quasi più grande del viso. Viene da Leitrim, un minuscolo villaggio di qualche centinaio di abitanti. Scrive la mamma: “Stava da solo in piedi davanti alla sua scuola, sapendo che milioni di ragazzini nel resto del mondo stavano lì, in piedi con lui”. Sul cartello che JJ teneva fra le mani, un cartone strappato e scritto con pennarello rosso e nero, solo queste parole: “Ignorance is a crime”. L’ignoranza è un crimine. Avete mai letto uno slogan più potente di questo?

Non so se avranno successo, i ragazzi dello sciopero del clima, e sono sicuro che faranno degli errori, verranno travisati e perderanno qualche battaglia.

Ma meno male che sono arrivati.

Sorgente: Cosa resta di Greta

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