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Conte: «Italia-Cina, intesa limpida: il nostro obiettivo è crescere»

Il premier e la Nuova Via della seta: è una scelta economica compatibile con l’Alleanza atlantica. Altri Paesi collaborano con Pechino, non sarà un cavallo di Troia

di Luciano Fontana e Massimo Franco

Difende l’accordo in fieri con la Cina. Ed esclude che alla fine possa non arrivare la firma. «Non ci sono ragioni ostative per non finalizzare il lavoro compiuto in questi mesi», avverte il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. E cerca di rassicurare tutti: Unione Europea e Stati Uniti. In una parola, l’Occidente del quale l’Italia è parte integrante. Definisce la Nato «un pilastro fondamentale della nostra politica estera». E vede la visita di Xi Jinping, presidente della Repubblica popolare cinese, come una grande opportunità per l’Italia: sebbene stia diventando una sorta di laboratorio della fedeltà atlantica del governo M5S-Lega. Conte cerca di placare le diffidenze. Il memorandum, ribadisce, ha contorni commerciali. Ed esclude che preluda a una penetrazione geopolitica della Cina: con l’Italia involontaria testa di ponte (Qui l’articolo con l’Ue che lancia l’altolà all’Italia sulle intese con la Cina). A questo avvertimento ha risposto il ministro dell’Economia Giovanni Tria: «Una tempesta in un bicchier d’acqua».
Presidente, l’Italia si appresta a fare un accordo importante con la Cina che preoccupa sia i nostri alleati europei, sia gli Stati Uniti. Siamo il cavallo di Troia della Cina in Europa?
«L’Italia fisserà con la Cina — attraverso un memorandum che, preciso subito, non ha la natura di accordo internazionale e non crea vincoli giuridici — una cornice di obiettivi, principi e modalità di collaborazione nell’ambito dell’iniziativa Belt and Road, un importante progetto di connettività euroasiatica cui il nostro Paese guarda con lo stesso interesse che nutriamo per altre iniziative di connettività tra i due continenti. Il testo, che abbiamo negoziato per molti mesi con la Cina, imposta la collaborazione in modo equilibrato e mutualmente vantaggioso, in pieno raccordo con l’Agenda 2030, l’Agenda 2020 di cooperazione Ue-Cina e la Strategia Ue per la connettività euroasiatica. Abbiamo preteso un pieno raccordo con le norme e le politiche Ue, più stringente rispetto ad accordi analoghi firmati da altri partner Ue con Pechino. Abbiamo inserito chiari riferimenti ai principi di sostenibilità economica, sociale, ambientale, di reciprocità, trasparenza e apertura cari all’Italia e all’Europa».

Non c’è il rischio concreto di indebolire il ruolo dell’Italia in Occidente?
«Rispetto ad altri Paesi, europei e non, che hanno avviato da anni collaborazioni importanti con Pechino in materia di connettività, l’Italia formalizza in modo trasparente la cornice entro cui avviare questa collaborazione, difendendo i principi e le linee del quadro europeo, che abbiamo contribuito a costruire, senza mettere minimamente in discussione la sua collocazione euroatlantica. È un approccio “forte” perché contribuisce a “estendere” principi e standard europei».
Eppure lo stesso Salvini, suo vice, è preoccupato da queste intese. Mette in guardia su una colonizzazione da parte della Cina.
«Nessun rischio di colonizzazione. Le ragioni della prudenza sono pienamente condivise all’interno del governo: la tutela della sicurezza nazionale, anche sul piano economico, è un valore fondamentale che intendiamo rafforzare. Con Pechino dobbiamo riequilibrare la bilancia commerciale, attraverso un maggior accesso al mercato cinese per i nostri beni, dall’agroalimentare al lusso, e per i nostri servizi, e qui mi riferisco all’eliminazione delle barriere al mercato degli appalti in Cina. Tra i partner Ue siamo solo il quarto esportatore verso la Cina, a grande distanza soprattutto dalla Germania. Riponiamo massima attenzione alla difesa dei nostri interessi nazionali, alla protezione delle infrastrutture strategiche, incluse quelle delle telecomunicazioni, e ad evitare investimenti predatori e trasferimenti di know how e tecnologie di punta».
Dagli Stati Uniti che segnali ha ricevuto?
«Con gli Stati Uniti il dialogo e l’aggiornamento sono costanti, anche su questo dossier. Per noi, quella di collaborare con la Cina sulla Belt and Road, è una scelta di natura squisitamente economico-commerciale, perfettamente compatibile con la nostra collocazione nell’Alleanza atlantica e nel Sistema integrato europeo».
Veramente il segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, invita a fare attenzione. L’accordo, dice, potrebbe risultare «opaco».
«Nessun rischio del genere, come si potrà constatare dalla lettura dell’accordo».
E dalla Commissione Ue? Con Juncker, oltre che di Tav parlerete anche di Via della Seta? Quali rassicurazioni è in grado di fornire?
«Con Juncker abbiamo un dialogo costante a tutto campo. È possibile che parleremo di Cina, anche perché il tema è in agenda al prossimo Consiglio europeo. Sarà un’occasione per valorizzare, tra i punti più qualificanti della collaborazione che avvieremo con la Cina, lo stretto raccordo con le linee della strategia Ue sulla connettività euroasiatica adottata lo scorso ottobre. Tale ultimo aspetto è espressamente richiamato nel memorandum».
Non è singolare rinviare sulla Tav e poi dire sì al progetto Via della Seta?
«La Tav ormai è un’ossessione nazionale. Ci sono centinaia di cantieri sul territorio che possiamo far ripartire grazie al decreto legge che anticiperà la riforma del codice degli appalti. Già in settimana apriremo un tavolo con le Regioni, con Anci e con Ance per sbloccare le opere ferme in tutta Italia. Operiamo per un futuro di crescita e sviluppo e il memorandum con la Cina offre preziose opportunità per le nostre imprese».

Il fronte delle telecomunicazioni preoccupa soprattutto per le implicazioni che ha su sicurezza e intelligence. Avete esaminato a sufficienza questo aspetto?
«Il settore delle telecomunicazioni e la sicurezza cibernetica sono al centro dell’attenzione del governo nelle sue varie articolazioni, inclusa l’intelligence, che seguo direttamente. In attuazione della Direttiva europea Nis, avremo presso il Mise il Cvcn, Centro di certificazione che contribuirà, assieme ad altri strumenti, a evitare che partnership di carattere commerciale possano minare la nostra sicurezza. È importante anche un’efficace azione preventiva, che presuppone la definizione di un perimetro di sicurezza informatica nazionale più ampio e complesso di quello a cui pensiamo tradizionalmente, esteso non solo alle autorità ma a tutte le aziende che hanno un rilievo strategico. Questa materia in ogni caso esula dal perimetro del memorandum».
Sembrano abbastanza intuitivi i vantaggi che la Cina ricaverà da questa intesa. L’Italia che cosa ne ricava?
«La collaborazione con la Cina in materia di connettività dischiude grandi opportunità per il Sistema Italia, storico terminale dell’antica Via della Seta. Da un lato, i nostri porti, penso a in particolare a quelli di Genova e Trieste, possono candidarsi al ruolo di terminali, in Europa, per la nuova Via della Seta. Si tratta di un’opportunità che potenzialmente giova a tutto il Mediterraneo, visto che nel Mare Nostrum transita ancora una parte consistente del commercio globale. Parlo dei porti perché il terminale ferroviario della Belt and Road è già individuato in Germania, a Duisburg, a riprova di una collaborazione tra Berlino e Pechino ben più avanzata della nostra. In secondo luogo, le nostre imprese attive nei settori delle costruzioni, della cantieristica, delle reti energetiche e in tutti i comparti collegati allo sviluppo di infrastrutture avranno la possibilità di partecipare ai grandi progetti avviati per costruire la Belt and Road».

Lei martedì è stato costretto a ribadire la collocazione euroatlantica dell’Italia. È un segno che rischiamo di apparire ambigui sulle alleanze tradizionali?
«No, nel modo più assoluto».
L’Alleanza atlantica è un pilastro, o solo un dato di fatto da non mettere in discussione?
«L’Alleanza atlantica è il pilastro fondamentale della nostra politica estera. Con gli Usa condividiamo gli stessi valori e collaboriamo costantemente su tutti i fronti, a partire dalla stabilizzazione del Mediterraneo allargato e in particolare della Libia. Con gli Usa sediamo fianco a fianco ogni giorno nel Consiglio atlantico, che ci offre, ancora oggi, la più solida garanzia di sicurezza».

Non teme che la collaborazione economica porti alla penetrazione geopolitica, come in Asia e in Africa?
«Non vedo rischi in questo senso. Sul piano formale, il memorandum che firmeremo non crea alcun vincolo giuridico e contiene garanzie esplicite di tutela dei nostri principi e interessi. Sul piano della sostanza, l’Italia è una solida, diversificata economia del G7, la seconda manifattura d’Europa, caratteristiche che ci rendono infinitamente e incomparabilmente meno vulnerabili rispetto ad altri Paesi che sono rimasti esposti alla penetrazione del sistema economico cinese».
Lei ha parlato di «opportune cautele» per evitare questa prospettiva.
«Non abbiamo bisogno di particolari cautele perché siamo solidamente ancorati al legame transatlantico e all’Unione europea. Siamo già dotati da tempo di strumenti efficaci quali il Golden Power per tutelare le nostre industrie in settori strategici. Sono allo studio meccanismi di coordinamento per il monitoraggio di intese commerciali, quali quelle che verranno stipulate a valle del memorandum sulla Belt and Road, per garantire, come con ogni altro partner economico, la protezione delle infrastrutture e di evitare il trasferimento di tecnologie e know how in settori sensibili. Abbiamo poi altre specifiche misure, allo studio, per evitare che le opportunità di sviluppo commerciale possano insidiare le nostre attività strategiche e i nostri interessi nazionali».

Il Memorandum è stato approfondito con Esteri, Difesa e Servizi di sicurezza? E il Parlamento? In che modo sarà coinvolto?
«Il testo è stato negoziato per molti mesi, in stretto raccordo con tutte le amministrazioni interessate. Non è stato fatto un passaggio formale in Parlamento per il semplice motivo che si tratta di un testo che non costituisce un accordo internazionale e che non crea obblighi giuridici».
Ne ha discusso con il capo dello Stato, Mattarella?
«Il dialogo con lui è costante. Il Presidente Mattarella conosce bene questo dossier, anche perché è stato in Cina in visita di Stato nel 2017, lo stesso anno in cui il mio predecessore ha partecipato alla prima edizione del Forum Belt and Road».
Il rapporto con la Cina è diventato un altro motivo di frizione tra M5S e Lega. E, dopo il rinvio, torneranno in ballo Tav e autonomia dalle Regioni del Nord. Quanto può reggere l’alleanza?
«Il nostro governo ha sempre dimostrato di saper convergere sui temi decisivi per l’interesse del Paese, senza che ciò significasse compromettere le sensibilità delle forze politiche di maggioranza e così continuerà a fare nei prossimi anni, affidandosi sempre a un confronto trasparente».

Sorgente: corriere.it

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