Reddito di cittadinanza, il divario tra illusione e realtà | Rep
DI ROBERTO PEROTTI
Il decreto legge che norma finalmente il reddito di cittadinanza dà attuazione a una buona idea ma in modo velleitario, e si scontrerà con la dura realtà. Quasi certamente lo stanziamento, 7,7 miliardi a regime, sottostima enormemente il costo finale. Sospetto che lo stesso governo lo sappia, e infatti il decreto contiene una clausola incredibile, l’articolo 12 comma 6: se la spesa dovesse superare lo stanziamento, l’ammontare del beneficio di ogni percettore verrà ridotto in proporzione. Che io sappia, è la prima volta che ciò avviene. Si pensi cosa succederebbe se il governo dicesse ai pensionati: “se la spesa totale per pensioni eccede x miliardi, l’Inps ridurrà il tuo assegno proporzionalmente”.
È facile mostrare perché lo stanziamento è insufficiente. Il reddito di cittadinanza del programma M5S consisteva in una integrazione a 780 euro mensili del reddito per un single, e maggiore per nuclei famigliari più numerosi; ma se il percettore possedeva l’appartamento in cui abitava (circa la metà della platea), l’assegno del reddito di cittadinanza veniva ridotto dell’affitto imputato. Il costo stimato dallo stesso M5S e da molte altre fonti era di circa 15 miliardi. Il decreto legge parla di una integrazione apparentemente minore, 500 euro per i single, ma aggiunge un contributo massimo di 280 euro mensili per le spese di affitto per i beneficiari in locazione. Non molti single in locazione pagano meno di 280 euro di affitto, quindi la spesa per i locatari sarà di fatto vicina a 780 euro, come nel progetto originale. Per i proprietari, nel decreto legge l’integrazione è a 500 euro, cioè 280 euro in meno che nel progetto originale, ma senza sottrarre dall’assegno l’affitto imputato; quindi se in media quest’ultimo è di almeno 280 euro al mese (condizione verificata nei dati), si spende addirittura di più nel decreto legge che nel progetto originale.
È difficile quindi capire come si sia passati da 15 miliardi a circa 7,7 miliardi. Il decreto legge esclude i nuclei con immobili diversi dalla casa di abitazione superiori a 30.000 euro, e con valori mobiliari superiori a varie soglie; ma è implausibile che queste clausole (facilmente aggirabili) riducano il costo del reddito della metà.
Coerentemente con gli annunci, il decreto cerca di combinare il reddito di cittadinanza con un cammino di rientro o inserimento nel lavoro. Ma ne esce una burocrazia pazzescamente complicata. Centri per l’impiego, Sistema informativo unitario dei servizi sociali, Sistema informativo unitario delle politiche del lavoro, servizi sociali comunali, agenzie per il lavoro, enti di formazione, aziende dovrebbero comunicare e interagire al fine di creare un Patto per il lavoro e un Patto formativo per ogni beneficiario, che lo portino all’impiego. Ottime intenzioni, ma l’utopia di un mercato del lavoro centralizzato, in cui il piccolo imprenditore di Bolzano schiacciando un tasto sa se da qualche parte in Italia c’è un beneficiario del reddito che ha fatto esattamente il percorso formativo che sta cercando è, appunto, una utopia.
Ma se proprio ci si vuole credere, occorreranno anni di lavoro ed enormi risorse. Risorse umane: quasi tutti i Comuni conoscono solo la figura dell’assistente sociale, e moltissimi sono carenti anche di questa; ma le professionalità necessarie per inserire nel mondo del lavoro e interfacciarsi con le aziende sono diverse, e molto più complicate. E risorse tecnologiche: il decreto disegna un sistema in cui ogni ente coinvolto in ogni parte d’Italia può comunicare con ogni altro, in una rete informatica complicatissima. Bisognerà dunque dotarsi dell’hardware e software necessari, formare il personale che li faccia funzionare, e testarli. Tutte imprese titaniche, per cui occorreranno anni, e i cui risultati rischiano comunque di essere molto deludenti.
Il decreto introduce anche un sistema di incentivi fiscali, ma è inutile farsi illusioni. Un datore di lavoro che assuma a tempo indeterminato un beneficiario riceve come sgravio fiscale la differenza tra 18 mesi di reddito di cittadinanza e le mensilità già versate al beneficiario: poche migliaia di euro al massimo, in cambio della scommessa di un contratto a tempo indeterminato a una persona che è fuori dal mercato del lavoro da anni, o non c’è mai stata. Quanti datori di lavori lo faranno?
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